Pietro e Matteo, Notalike

Pietro e Matteo, Notalike

 

ALBA Il brano What we do ha raggiunto in poco tempo la posizione numero cinque nella classifica Viral Italia top 50, superando artisti piuttosto noti. La produzione è stata curata dai Notalike, ovvero gli albesi Matteo Bordino e Pietro Celona, che incontriamo a fine estate per parlare di musica, contesti sociali e idee sul futuro.

Qual è la vostra storia?

«Notalike è nato a ottobre 2017, dopo esser stati notati e accolti dalla Nb music di Torino. Da allora abbiamo collaborato con alcune tra le case discografiche più importanti del panorama dance, come la Revealed recordings, etichetta del Dj e produttore Hardwell, e Fonk recordings, altra celebre casa discografica olandese. I nostri brani sono stati suonati anche dal numero uno al mondo, Martin Garrix. L’ultimo brano è What we do: realizzato insieme al produttore torinese Etta Matters e dal cantautore Itto (Federico Urgesi, già nel cast di Amici 14) su uno stile più radiofonico, ha scalato le classifiche di Spotify nelle ultime settimane. In futuro prevediamo di continuare a pubblicare musica su uno stile club, ma anche, dato il successo recente, di rilasciare canzoni con una sonorità tendente al pop e alla radio».

Molti criticano la musica giovanile odierna perché trasmette valori di materialismo, narcisismo, egocentrismo. Cosa vorreste trasmettere voi, con la vostra arte?

«Ci riteniamo distaccati e contrari dal movimento musicale che sta prendendo piede in Italia. Abbastanza deludente vedere che ciò a cui siamo più affezionati diffonda principi diseducativi, soprattutto per i più giovani. Le nostre composizioni non hanno assolutamente l’intento di trasmettere valori sbagliati, semplicemente di far ballare le persone in qualsiasi contesto, dalla discoteca fino alla radio della propria vettura. In What we do, l’obiettivo era creare un brano estivo in termini di melodie e atmosfera. Il testo racconta una storia d’amore finita e di come, nonostante il proposito di non vedersi più, i due ex amanti continuino a incontrarsi involontariamente. È una storia vera: certe volte Torino sa essere una città molto piccola».

A proposito di città, parliamo di Alba.

«Siamo entrambi legati al territorio, ma non possiamo definirlo un luogo adatto per emergere musicalmente. Alba è una piazza attiva per quanto riguarda eventi e manifestazioni, ma viene dato poco spazio ai giovani se non in rassegne di secondo piano. Bisogna sempre rapportarsi con una cerchia di Dj che da anni occupa le serate più importanti. Perciò abbiamo scelto di spostare le energie sul Torinese, più meritocratico. Una storia che dimostra anche quanto Alba si presti poco al nostro mestiere è stata la ricerca di uno studio di registrazione. Abbiamo indagato un paio di mesi, senza esito. Perciò abbiamo deciso di costruire uno studio casalingo, spendendo i risparmi comuni. La creazione è durata due anni. Un progetto che rende fieri».

Valerio Giuliano

 

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