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Quattro domande a Mauro Ermanno Giovanardi

La storica voce dei La Crus, vincitore del Premio Tenco 2014, chiuderà il festival Cantautori d’Italia sabato 17 maggio alle 18.30 in piazza Duomo.

ALBA Uno dei maggiori rappresentanti della canzone d’autore italiana, vincitore del Premio Tenco 2014 nella categoria interpreti, chiuderà l’edizione di quest’anno del festival Cantautori d’Italia, organizzato dall’Associazione Milleunanota, con la direzione artistica di Filippo Cosentino. Giovanardi, ex leader degli storici La Crus, indiscusso talento cantautorale, noto per aver reso celebri in Italia i brani di Piero Ciampi e per aver saputo raccontare con un immaginario poetico rinnovato, i successi di Paolo Conte, Dalida, Adriano Celentano e Luigi Tenco, fu definito nel 95 alla consegna della Targa Tenco come migliore opera prima, un mix tra Jacques Brel e Johnny Rotten. Dopo il successo legato all’uscita di “Maledetto Colui che è solo”, ad Alba, sabato 17 maggio in piazza Duomo alle 18.30, lo potremo ascoltare in una selezione dei suoi brani più celebri accostati a un’antologia di canzoni a tema vino, riprendendo il claim del festival Cantautori 2014, “Il vino come non l’avete mai ascoltato”; l’esibizione sarà introdotta da un dialogo con la giornalista Adriana Riccomagno. Abbiamo posto a Giovanardi alcune domande in anteprima.

Mauro Ermanno Giovanardi

La scorsa settimana hai ricevuto ad Avellino la Targa Tenco come migliore interprete ma non è la prima volta che ti viene assegnato questo riconoscimento: che rapporto hai con il circuito del Tenco?

«Sono molto legato al Tenco, a doppio, anche triplo filo: al Tenco dobbiamo tantissimo anche dal punto di vista discografico perché come La Crus siamo stati invitati da Enrico De Angelis nel ’94 come gruppo scoperto dal Tenco, senza un disco fuori. È andata come nei film, mezz’ora dopo il concerto avevamo un contratto con la Warner e la Mescal che nasceva proprio in quei giorni. Soprattutto però il Tenco è un punto di riferimento importante perché quando nacquero i La Crus si cercò di far convivere due mondi: il primo, quello del nostro background musicale legato al post-punk e alla new wave, fino all’elettronica degli anni ’90, e il secondo, il recupero della canzone d’autore, molto interessante dal punto di vista letterario».

Questo richiamo all’aspetto letterario è evidente nel tuo percorso creativo, che si muove non soltanto in ambito strettamente musicale ma coinvolge il teatro, la letteratura e altro ancora. Quanto è importante per te quest’apertura ad altri campi?

«Ha sempre fatto parte del mio percorso; per me la contaminazione dei linguaggi è veramente una sfida quotidiana, e sarebbe anche noioso andare sul palco a fare sempre la stessa cosa. Mettermi in gioco mi è sempre piaciuto, e penso sia molto più bello riuscire a conquistare un pubblico altro, ad esempio il pubblico che acquista il biglietto in una stagione teatrale, che non è quello che mi conosce di solito. Non puoi cantartela e suonartela su un palco, devi tenere conto degli altri: se no non è più comunicazione ma elucubrazione. Tutto questo al di là della ricchezza che si sviluppa nel confronto con il teatro, il cinema, la letteratura».

Cosa pensi di iniziative come il festival Cantautori d’Italia, con un momento “intimo” di dialogo prima del concerto, e con l’esibizione al fianco di una band residente?

«Sono una persona molto curiosa, per cui l’idea di venire a suonare con una band residente è intrigante. Per come sono fatto è difficile che faccia una cosa così a cuor leggero perché sono sempre molto pignolo: arrivando da un’esperienza non jazz in genere devo avere i miei pilastri però quando Filippo mi ha chiamato, abbiamo fatto un po’ di chiacchiere e ho sentito le sue cose, è stato naturale, e l’ho fatto a cuor leggero e sono tranquillo. E’ una cosa che capita raramente.

La dimensione del dialogo prima del concerto mi piace perché mi piace il teatro e mi affascina questo tipo di situazione, che propongo anche nei festival di musica e letteratura di cui sono direttore artistico. In queste situazioni la distanza con il pubblico si azzera e c’è un’interazione con il pubblico, poco o tanto che sia. Le cose altre sono in genere più interessanti di quelle “normali” perché possono prendere una piega diversa e inaspettata ogni volta».

Ho letto che stai lavorando al nuovo disco: cosa puoi anticipare su questo lavoro?

«Proprio in questo mese sono a Vercelli nello studio di Roberto Garnetti per questo lavoro che ha avuto una gestazione abbastanza lunga, e come succede per tutti i parti difficili mi ci sono molto affezionato. Abbiamo cercato di fare un’evoluzione rispetto al suono dell’altro disco, decidendo che non ci sarebbero stati archi bensì un coro soul che, essendo presente in otto pezzi su dieci, caratterizza il suono del disco, e una sezione fiati. Sono molto curioso di sentire come sarà il disco finito. Uscirà dopo l’estate e sarà costituito da tutti brani inediti tranne uno, di Leo Ferre’, “Il tuo stile”, che è uno di quei pezzi che avrei voluto fare da dieci anni ma finora non ci ero riuscito. Anche per la presenza di questo pezzo il disco si chiamerà “Il mio stile”».

c.d.p.

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