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Se i giornalisti aggiustano la scena per fare audience

REPORTAGE «Sono nati comitati antimigranti. La popolazione di Ventimiglia è tendenzialmente intollerante, perché è stanca di accogliere. Ma esistono singoli, atomi di resistenza, che continuano ad aprire le braccia e restare umani». Una ragazza del progetto “20k” – collettivo che il 14 luglio organizza un grande corteo a Ventimiglia in favore dei migranti – spartisce con noi (me e Proglio), la sua lettura della città. «È questa minoranza solidale che cerchiamo di aggregare e di esortare», dice.

DIETRO L’APPARENZA

Ma altre persone ci raccontano la realtà, dietro le apparenze: «Tutti pensano che a Ventimiglia ci sia un’invasione. Invece i migranti sono poche centinaia, la maggioranza accolta nel centro della Croce rossa», dice un negoziante. Lavorando vicino alla stazione vede spesso scene di manomissione del reale: «I giornalisti arrivano, dicono ai migranti: “mettiti coricato, fa più disagio. La valigia aprila, così si vede la povertà”. Molti africani obbediscono, perché pensano che questo stratagemma possa aiutarli, ma in verità incrementa l’odio della cittadinanza».

Se i giornalisti aggiustano la scena per fare audience

La messinscena funziona come show, aggiunge pietà ai soli fini dell’audience. Ma distorce il vero. In effetti, visitando le strade di Ventimiglia, incontriamo solo un gruppo di migranti sulla spiaggia e alcuni che dormono sotto i ponti o i cavalcavia. Nessuna occupazione della città. Un barista del centro spiega che «la popolazione è stanca». Quando gli chiediamo se i migranti abbiano creato problemi, risponde: «Ci sono state liti tra di loro e alcuni episodi spiacevoli».

Spesso la paura porta a sovrastimare alcune situazioni. Un reato commesso da uno straniero fa molto più scalpore di uno commesso da un italiano e diventa oggi la prova che «gli africani sono pericolosi» e che tendono alla criminalità più degli autoctoni. Il medesimo errore avviene per il loro numero. La differenza – ad esempio proprio il colore della pelle –accende la percezione e le stime vengono spesso esagerate.

UNA CITTÀ LIMINARE

Proseguiamo il cammino per Ventimiglia, che si prepara a ricevere autobus per la manifestazione da ogni angolo d’Italia. C’è chi teme scontri, perché le istituzioni sono contrarie. Ascoltando il vento sulla spiaggia, si sente la voce di una città liminare non solo nella geografia, ma anche nel suo stato emotivo: traballante, vacillante, vicino a una linea di demarcazione che valicare sarebbe pericoloso.

INCHIESTA: umanità dimenticata

In una giornata serena e calda – è il 2 luglio – nella città di confine un uomo commenta: «Due barconi affondati, con decine di vittime tra cui molti bambini? Non è colpa nostra. Se lo sono meritato». Che cosa mai può spingerlo? Quale immane forza espropria le persone di empatia? Viene da pensare a una sindrome da tifoseria: l’eccitazione che prende a combattere contro un avversario comune. Ci si sente coesi e compatti, legati a un gruppo, vivi. I più elementari istinti e le manifestazioni di crudeltà diventano leciti in nome dell’autopreservazione. Ovvero: posso odiare e farmi promotore di immani crudeltà perché, se non lo facessi, il gruppo avversario vincerebbe e sarebbe a rischio l’incolumità mia e della mia famiglia.

L’ODIO COLLETTIVO

È una follia collettiva che prese molte anime prima e durante la seconda Guerra mondiale e che sembra ripetersi. Contro ogni pronostico torna un odio atavico contro un nemico. Paradossalmente, a essere attaccati non sono i forti, i potenti, ma gli ultimi della catena, i miseri dei miseri. Migrante non significa più “colui che migra”, ma pericolo. Le argomentazioni razionali prevalgono sulla componente emotiva, di identificazione e soccorso: «L’Italia ha già fatto troppo, bisogna aiutarli a casa loro», si dice. In risposta a chi tenta l’opposizione al delirio comune, aggettivi come “buonista” o “perbenista” diventano la trappola concettuale in cui rinchiudere ogni tentativo di dissenso rispetto alla dominante intolleranza.

Che ne è dell’etica, della morale, dell’umanità?

m.v.

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