Canale tenta l’integrazione

Uno degli enti più a stretto contatto con i nomadi è il Consorzio socio-assistenziale. Gazzetta ne ha incontrato il presidente Roberto Giachino.

Giachino, quale politica guida i vostri interventi a favore dei nomadi?

«Si è deciso d’intraprendere una condotta che non vada né verso l’integrazione totale – che non funziona – né verso l’assistenzialismo. Impieghiamo più risorse umane rispetto a quelle economiche. Eroghiamo soltanto contributi relativi alle spese mediche (se dimostrate, vengono coperte al 50% per minori e anziani) e buoni spesa per un massimo di 100 euro mensili a mamme in difficoltà».

Come si struttura il vostro intervento?

«Ogni settimana, per mezza giornata, un’assistente sociale, un’operatrice socio-sanitaria e un’educatrice accedono al campo nomadi. Si è così notato un aumento di minori con problemi di disabilità. Abbiamo quindi creato un collegamento con i reparti di neuropsichiatria infantile, psicologia e pediatria. Inoltre, nel marzo 2004, è stata favorita la costituzione della società cooperativa sociale Mussotto, formata da 11 nomadi e assistita da un facilitatore che fa riferimento al Consorzio.

L’obiettivo è di agevolare l’autonomia dei nomadi, responsabilizzandoli. Ora, anche e soprattutto per via della crisi, la cooperativa sta incontrando qualche difficoltà nel reperire lavoro. I nomadi sarebbero molto interessati alla raccolta del ferro, ma è necessario fornire loro un’adeguata organizzazione in modo che vengano rispettate le rigide normative in materia».

A proposito di minori, qual è la situazione?

Nomadi«Nel campo i minori sono 46 (1 ragazzo nomade frequenta le medie, 5 la scuola materna, 6 le elementari e 3 studiano all’Apro). Sempre attraverso la cooperativa, si stimola la frequenza scolastica, in quanto sono gli stessi nomadi che, con un pulmino, accompagnano i loro figli a scuola. I nostri operatori cercano anche di favorire la partecipazione dei minori ai Cam (Centri attività minori)».

E per i più grandi?

«Per i giovani del campo, che vivono gli stessi disagi degli altri, si cerca di trovare sbocchi lavorativi. Spesso, però, la loro provenienza costituisce ancoraungrosso limite nell’assunzione ». Ma non finisce qui. «Puntiamo anche a migliorare le capacità genitoriali delle mamme, proponendo, all’interno del campo, discussioni su temi legati a problematiche educative».

Quali strategie avete?

«Il nostro obiettivo è di individuare soluzioni che favoriscano una buona convivenza con la comunità albese, nel rispetto delle modalità di vita di ciascuna componente sociale. L’integrazione non va forzata. Prossimamente, proporremo nel campo incontri con pediatri, medici e politici. Si vorrebbe inoltre istituire un tavolo che coinvolga tutte le istituzioni che ruotano attorno al mondo dei nomadi».

Nomadi e case popolariLe case popolari rappresentano una valida soluzione contro il disagio?

«Nell’autunno 2010 è stato smantellato il campo nomadi di Canale. Gli occupanti sono stati sistemati dal Comune in alloggi popolari. Vedremo se questa sperimentazione potrà essere esportata».

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