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Le ragazze della filanda

Se Gazzetta fosse una persona, si potrebbe dire che in quel 23 settembre 1882 pronunciava i primi vagiti, visto che era nata poche settimane prima, il 3 giugno di quell’anno. E furono parole amarissime quelle che dovettero scrivere i cronisti per raccontare una strage di operaie, alcune ancora bambine, simile all’evento (mitico) a cui si riconduce la festa dell’8 marzo (la morte di 129 lavoratrici chiuse in una fabbrica andata a fuoco, un evento che due ricercatrici hanno dimostrato essere un falso storico).

 

Le ragazze della filanda

 

Il tragico evento avvenuto ad Alba in una notte di fine estate è invece crudamente reale. «Dodici operaie, nel fior degli anni e nel vigor della salute, tutte di Cavallermaggiore, raccolte pel riposo in una camera del setificio, che presso Alba dà lavoro a più di 400 operai, sono morte di asfissia ». A causare la morte fu una lampada a petrolio mal spenta al momento di andare a dormire nella camerata che ospitava le dodici giovani. Lo stoppino continuò a bruciare per tutta la notte e il monossido di carbonio fece il resto.

La più grande delle ragazze aveva 22 anni, la più piccola soltanto 12. Le lavoratrici delle filande (in piemontese le filere) venivano dalle famiglie più povere e spinte dalle necessità di integrarne il reddito accettavano condizioni di lavoro durissime. Molte di loro alloggiavano in locali interni alla fabbrica, in una condizione che ricorda da vicino quella vissuta oggi negli stabilimenti dell’India o della Cina. Allora la provincia di Cuneo era una delle prime in Italia per produzione di seta e a essere impiegate nelle lavorazioni erano soprattutto giovani donne.

Quella che ci rimanda Gazzetta del 1882 è un’immagine tenera e spensierata di quelle giovani ragazze, che in una vita fatta di stenti e di fatica, cercavano di ritagliarsi qualche piccolo momento di allegria ed evasione: «La sera del 18 poi, verso le 12, folleggiavano ancora; anzi, alcune compagne della camera loro là presso assegnata, si erano recate nella camera fatale, dove, scherzando e raccontando favole, si trattennero». Erano quelli i tempi delle fabbriche-caserme. Gli orari di lavoro erano lunghissimi: «Alle 6 del mattino seguente il personale dello stabilimento era pronto al lavoro; mancavano però le operaie di Cavallermaggiore». Un’attività giornaliera che durava 11-12 ore.

Gli Albesi rimasero sconvolti dal tragico evento. E quando i genitori delle ragazze arrivarono in città con il treno – la linea ferroviaria da Alba a Cavallermaggiore era stata completata nel 1865 – la commozione fu ancora più grande. Una figura in particolare colpì tutti profondamente, quella di un padre che perse ben tre figlie. Alla fatica di tante persone anonime e dimenticate come queste, spesso donne, dobbiamo le fondamenta su cui si è sviluppata l’attuale florida ricchezza del territorio.

 

Diego Lanzardo

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