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Centro Ferrero: «I dipendenti hanno timore di parlare»

Gianpiero Porcheddu, sindacalista della Cisl, ha seguito fin dagli inizi la vicenda che ha portato al fallimento e alla vendita all’asta del centro riabilitazione Ferrero.

Qual è la situazione attuale del centro, Porcheddu?

«Dopo il subentro ai vertici gestionali della società San Giorgio srl, è cambiata la tipologia contrattuale dei dipendenti: se prima il rapporto di lavoro era regolamentato dalle normative della sanità privata, ora vige il contratto Anaste (contratto collettivo nazionale di lavoro per il personale dipendente dalle realtà socio-sanitario- assistenziale- educative). La situazione si è sicuramente stabilizzata rispetto a due anni fa. Ma l’atmosfera non sembra rosea ».

 

Gianpiero Porcheddu

Gianpiero Porcheddu.

Cosa intende?

«Le racconto un aneddoto. Esattamente come la vostra testata ha ricevuto una e-mail anonima, il nostro sindacato ha ricevuto una telefonata, sempre anonima, da un dipendente del centro. Il soggetto ha lamentato vari disagi, riguardanti soprattutto la situazione interna, il clima emotivo che si respira nella struttura. Ma anche questioni “pragmatiche”: ad esempio carichi di lavoro troppo pesanti, ore di straordinario non remunerate, chiamate in turno improvvise. Tuttavia, quando abbiamo proposto al dipendente di incontrarci per approfondire il caso, ha rifiutato».

Anche a Gazzetta è successa la stessa cosa. Quando abbiamo provato a contattare i diretti interessati, non abbiamo ricevuto risposta. Perché, secondo lei?

«A quanto pare la volontà di rimanere anonimo prevale sulla necessità di migliorare la situazione interna. Probabilmente a causa di un’atmosfera tesa all’interno della struttura e di un timore diffuso di parlare. A tutto ciò, si aggiungano le problematiche relative ai mancati compensi a una parte del personale: la questione ha a che fare con la passata amministrazione del centro, ma è uno snodo che va risolto».

Quanto è giustificata questa paura di esporsi da parte di dipendenti o ex dipendenti?

«Nel caso in cui una persona decida di rivolgersi al sindacato, quest’ultimo garantisce sempre l’anonimato. Dunque non c’è nulla di cui preoccuparsi. L’esposizione vera e propria avverrebbe esclusivamente nel caso in cui si aprisse un contenzioso legale, e anche in questo caso i diritti del lavoratore sono tutelati: non potrebbero verificarsi ritorsioni di sorta. Perciò, invito a prendere coraggio e mostrare il proprio volto. Finché nessuno mette nero su bianco, il sindacato ha le mani legate».

m.v.

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