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L’Italia alza il gomito

Una visione “dall’alto” è utile per comprendere le motivazioni di un fenomeno senza scadere in moralismi, ideologie o errori. Immaginiamo la società come un organismo, un insieme con una mente e un corpo. In tal caso, secondo le stime diffuse dall’Istat (Istituto nazionale di statistica) il 5 aprile, si potrebbe dire che abitiamo una società ammalata. Inferma per una sfilza di patologie, ma di una in particolare: l’alcolismo.

L’Istat rileva che nel 2010 la quota di popolazione (di 11 anni e più) che ha consumato almeno una bevanda alcolica durante l’anno ammonta al 65,7 per cento. Percentuale elevata, così come il numero di persone che quotidianamente ingerisce alcolici: 14 milioni e 126 mila persone. Niente di tragico: come garantisce la tradizione, il consumo saltuario, regolare o moderato non arreca guasti alla salute. Sono i dati relativi ai comportamenti a rischio ad accendere allarmi: il cosiddetto binge drinking (bere sei o più bevande alcoliche in un’unica occasione) e altri comportamenti di abuso coinvolgono 8 milioni e 624 mila individui. Il 16,1 per cento della popolazione con oltre 11 anni.

Nella fascia compresa tra i 18 e i 24 anni sommano a 698 mila le persone giudicate «a rischio di binge drinking». Il discriminante sarebbero le discoteche: chi frequenta i locali notturni consuma alcol in modo sproporzionato nel 40 per cento dei casi.

Chi non li frequenta abusa della sostanza solo nel 7,2 per cento dei casi. Dal punto di vista geografico, invece, emergono quote maggiori di bevitori al Nord- Est del Paese: la percentuale del 57,8 per cento per gli uomini residenti al Nord-Est, con picchi del 70 in Trentino- Alto Adige e Friuli-Venezia Giulia. La popolazione maggiormente esposta all’adozione di comportamenti a rischio risulta, contro ogni aspettativa, quella anziana. l’Istat dice che quasi tre milioni di over 65 (il 43,5 per cento dei maschi e il 10,6 per cento delle femmine) bevono troppo. Si tratta di un comportamento che può assumere molteplici significati, tra cui l’utilizzo delle bevande per fronteggiare stati depressivi o la prosecuzione di abitudini precedenti. Stando a quest’ultima asserzione e considerando lo sproporzionato diffondersi dell’alcol tra i giovanissimi, è ipotizzabile che in futuro il fenomeno tra gli adulti incrementi in maniera esorbitante. Difatti, gli attuali consumatori potrebbero protrarre il “vizio” negli anni, andando a innestare nel tessuto sociale i germi di un’“epidemia alcolica”. Catastrofismi a parte, è sufficiente analizzare i dati comparativi: dal 2000 al 2010 tutti (o quasi) gli indicatori di consumo sono in incremento.

Matteo Viberti

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