Bar, ristoranti ed esercizi commerciali sempre più raramente si privano di una radio, di un impianto di diffusione musicale o di un televisore. La musica d’ambiente attira i clienti e li fa sentire a loro agio. Ma da qualche tempo i titolari – albesi inclusi – sono alle prese con una nuova grana: Scf.
Che cos’è Scf. Scf consorzio fonografici è un consorzio composto dalla maggior parte delle case discografiche italiane che gestisce la raccolta e la distribuzione dei compensi ai produttori fonografici e agli artisti interpreti ed esecutori. Così, mentre la Siae (Società italiana autori ed editori) si occupa di riscuotere il prezzo delle licenze per i diritti degli autori, Scf tutela gli interessi di soggetti diversi dagli autori, ma che in qualche modo contribuiscono alla diffusione delle opere dell’ingegno: i produttori fonografici, gli interpreti e gli esecutori.
La grana. Quello che a prima vista parrebbe un diritto incontestato di artisti e produttori – e cioè il diritto di veder remunerato il proprio lavoro e i propri investimenti – si è trasformato però in una vera seccatura per i titolari di esercizi commerciali. Questi infatti, per poter tenere una radio, un lettore di musica o un televisore, devono pagare i diritti non solo alla Siae, ma anche a Scf. Peraltro, l’obbligo da parte degli esercenti di pagare i diritti al produttore e agli artisti per diffondere musica in pubblico esiste dal 1941, ma soltanto negli ultimi anni i produttori discografici, per varie ragioni, hanno avuto l’idea di organizzarsi autonomamente per riscuotere i loro compensi. «Da qualche anno Scf si è fatta viva rispolverando un balzello del 1941», ha detto il direttore dell’Associazione commercianti albesi Giuliano Viglione. «È pur vero che Scf riscuote diritti che sono previsti dalla legge e che non sono un’invenzione». Ma ciò che ha scatenato malumori fra i commercianti è che, da quando Scf è arrivata alla carica, ha cominciato a chiedere il pagamento del compenso per l’anno in corso e, in alcuni casi, gli arretrati per i cinque anni precedenti, spesso con modi spicci e discutibili, se non nella sostanza, almeno nella forma.
Il punto. Scf, a differenza di Siae, non è un ente pubblico, ma un consorzio privato. Pertanto gli ispettori non sono dotati di poteri di certificazione: semplicemente si presentano al bancone del bar per un caffè o al negozio per una visita e poi segnalano a Scf se in quell’esercizio viene diffusa musica d’ambiente. A quel punto Scf controlla se sono stati corrisposti i diritti. La tariffa, in teoria, è determinata da un decreto ministeriale del 1975 nella misura del 2% degli incassi lordi. Di fatto essa è stabilita annualmente dalla stessa Scf in misura forfetaria o per convenzioni con associazioni di categoria (come Confcommercio). Si passa da poche decine di euro per piccoli negozi con piccoli apparecchi a migliaia di euro per le strutture più grandi dotate di impianti di diffusione e di numerosi apparecchi tv e radio.
Ad Alba. «Da parte deicommercianti albesi non vienemeno l’impegno all’adempimento di obblighi stabiliti per legge », chiosa Viglione. Gli esercenti albesi, a quanto pare, non hanno alzato gli scudi e, a fronte dei solleciti di Scf, hanno messo mano al portafogli. «D’altro canto il più delle volte si tratta di poche decine di euro », ha detto Viglione. «Una causa contro Scf costerebbe molto di più. Certo è che noi appoggeremo tutte le battaglie delle associazioni di categoria volte ad abolire questo balzello». Un balzello che costa: secondo i commercianti albesi, un locale di circa 100 metri quadrati spende ogni anno da 300 euro a 700 euro per Siae, Scf e abbonamento Rai. Senza contare che molto spesso il titolare si abbona a servizi a pagamento on demand o di televisione satellitare, che fanno lievitare i costi fissi per l’intrattenimento a migliaia di euro.Epoi forse non ci si deve stupire se i locali si fanno la guerra tra di loro per un metro di dehors in più.
All’occhio. Recentemente la giurisprudenza ha precisato che anche gli studi dentistici, quando diffondono musica d’ambiente ad esempio nelle salette di attesa, devono pagare i diritti a Scf.Eallora lo stesso principio potrebbe valere per altre categorie di professionisti. Senza dimenticare che Scf riscuote anche i compensi per le musichette d’attesa al telefono, e ancora i compensi dalle Pro loco e dai circoli ricreativi per la diffusione di musica registrata. Chiunque ascolti musica registrata non solo nelle sue cuffiette deve accontentare Siae e Scf. Insomma: non paghiamo solo l’aria che respiriamo.
a.c.