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Alla ricerca di testimoni

Padre DuttoQuel giorno, a Marsabit, il vento soffiava più forte del solito e nuvoloni neri oscuravano il cielo. Per i nomadi del deserto il più ambìto regalo da un benefattore sarebbe la pioggia e si dicevano: «La manderà padre Tablino». Il 4 maggio ricorre il suo secondo anniversario. Molti lo piangevano ma anche lo pregavano. Un uomo, che non è mai andato a scuola, ha dettato un messaggio: «Son stato rigenerato da padre Tablino. Devo a lui la mia vita nuova. Sarò per sempre fedele a quello che mi ha insegnato».

Padre Paolo Tablino (in Africa, tutti i sacerdoti sono chiamati father, padre) appartiene a una generazione di preti di un certo stampo, caro nei ricordi di tanti, ma meno visibile ai nostri tempi. Ma anche qui, il Direttore didattico del distretto di Marsabit ha detto e scritto nella sua testimonianza: «Noi cristiani vogliamo anche i preti della presente generazione come era lui».

Apparentemente era un uomo che meritava tanto rispetto, ma velato di ordinarietà. La sua umiltà nascondeva valori molto superiori alla media. Gli si addice bene una frase recente di Papa Benedetto: «Non sono gli eroismi a fare la santità, ma l’amore vissuto nella vita di tutti i giorni». Le testimonianze già raccolte riferiscono anche di eroismi; ma certamente lo dicono soprattutto questi “tutti i giorni”. La Chiesa di Alba, sia nel laicato sia nel clero, può scrivere molti nomi di persone che hanno vissuto uno stile di vita e una dedizione al prossimo come lui. Padre Tablino amava definirsi un oriundo di Valdivilla, e spiegava che non si trattava di una città, ma di un angoletto immerso nella campagna silenziosa. E ha speso cinquanta anni in un vasto deserto, dove non c’è fasto, dove tutto è un po’ stentato e dimesso.

È, però, successo qualcosa che ha acceso una nuova luce. Per la sua trigesima, la Gazzetta d’Alba riportò un articolo del cardinal Giovanni Coppa, che terminava con sorprendenti parole: «Ho anche un pensiero più segreto: poiché il Signore ci ha dato la grazia di vivere con un uomo tutto di Dio, accarezzo l’idea che questa sua vita possa essere sempre meglio conosciuta e approfondita, affinché un giorno, se Dio vorrà, possa essere proposta dalla Chiesa all’imitazione universale. Del resto, i suoi Gabbra e Rendille parlano già di lui, e da anni, come di un grande amico di Dio».

All’Africa faranno bene modelli di vita moderni e vissuti in Africa. Così, a un’età degna di consacrare alla preghiera le residue energie, mi sono trovato coinvolto. Mi è stato impartito un ordine: «Devi lasciare l’Africa; ma prima devi raccogliere le memorie di padre Tablino presso la Chiesa di Marsabit». Raccogliere memorie nel deserto di Marsabit è un’impresa che non troverebbe persone disponibili. I missionari sono oberati di lavoro apostolico. Le distanze sono considerevoli tra North Horr, Maikona, Kargi, Kallacha, Bada Hurri… e il centro Diocesi. Mezzi di trasporto organizzati sono inesistenti. Nel deserto, la maggioranza continua a parlare borana, o rendille verso Sud. I nomadi, che pure non si fermano mai, come spiega lo stesso appellativo, non vengono facilmente al centro delle missioni: meglio raggiungerli dove sono!

Non l’ho visto come una fatica. Avevo una marcia in più: con padre Tablino datava un’amicizia dal 1965. Nel 1967, sono stato destinato alla Diocesi di Marsabit e, pur nell’assoluta incompetenza, ho iniziato una missione nell’estremo Nord, che a quel tempo dipendeva ecclesiasticamente e giuridicamente dagli uffici della capitale del deserto. L’obbedienza mi ha strappato dal deserto, ma padre Tablino, ogni volta che viaggiava verso l’Europa, veniva a condividere gli esercizi spirituali, a volte più lunghi dei soliti corsi. Soprattutto, dopo l’apertura del Centro di spiritualità sul Montedi Marsabit (2006), è venuto a viverci. Abbiamo condiviso gli ultimi anni della sua vita. Lo paragonava un po’ all’Altavilla di Alba e riteneva di aver ricevuto dal Signore il più bel dono, per poter essere missionario fino alla fine. Pregare e insegnare a pregare era stata la caratteristica della sua pastorale. Ora lo viveva con intensità maggiore.

Sto amando Alba. C’era sempre una battuta umoristica quando esaltavamo a turno le differenze prevalenti tra Cuneo e Alba. Cuneo non arrivavamai a competere a sufficienza. Vinceva Alba per le sue vigne, i dolciumi, i tartufi, soprattutto per la prevaricante santità. Alba, tuttavia, sta crescendo nel mio cuore per padre Tablino. Verrò a sentire quello che i sacerdoti Fidei donum, i suoi amici nel clero, i parenti e i conoscenti vorranno dirmi di lui. Finora, ho quello che mi hanno detto in Kenya. Ho già incontrato alcune persone a Roma, dove Alba è pure egregiamente rappresentata.

Miè molto piaciuta una testimonianza di uno con cui ha intessuto rapporti spirituali molto profondi negli ultimi anni. Ha scritto: «Padre Tablino aveva una rara capacità di appartenere con fedeltà e pienezza. Era cento per cento sacerdote di Alba; cento per cento sacerdote di Marsabit; cento per cento missionario della Consolata ». Moltissimi amici scommetto che convengano, perché è anche la loro esperienza.

Quando i sacerdoti albesi Fidei donum videro compiuta la loro missione, egli ha abbracciato anche lo stato religioso, che aveva sempre sentito dentro e che certamente gli è costato affidando ad altri l’organizzazione della sua vita. Non era il tipo da cercare un rifugio: sapeva di dare ancora di più per la missione. Aveva sempre amato molto il padre Giuseppe Allamano. Quando, a Sagana, ha predicato gli esercizi spirituali ai novizi, e neppure lui aveva fatto il noviziato, i giovani alla fine hanno osservato al loro maestro:«Conosce il Fondatore più di te». Le cose riguardanti la santità si avvicinano in punta di piedi. Eccomi ad Alba, per imparare da padre Tablino guardando la sua vita.

Padre Giovanni Dutto

Chi volesse contattare padre Dutto può trovarlo alle Missioni della Consolata, via Cottolengo 1, Fossano (telefono 366-28.28.951; e-mail: allamano@missionari-consolata.it.

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