Vent’anni fa – l’8 novembre 1991 – il Governo poneva rimedio a una lacuna della legislazione nazionale istituendo, con la legge numero 381, le cooperative sociali, fino ad allora assenti dal sistema giuridico italiano. In realtà, la cooperazione di carattere sociale esisteva da tempo – basti pensare, ad esempio, alle Società di mutuo soccorso, nate nel periodo della rivoluzione industriale per tutelare i lavoratori –, ma ancora mancava una normativa capace di definirne il ruolo.
La legge 381. Il provvedimento legislativo di inizio anni Novanta, oltre a specificare obblighi e divieti della categoria, sancì la distinzione tra cooperative sociali di tipo A, che si occupano della gestione di servizi sociosanitari ed educativi, e cooperative di tipo B, che svolgono attività diverse – agricole, industriali, commerciali o di servizi – finalizzate all’inserimento lavorativo di persone svantaggiate.
Ma non solo, perché la disciplina introdotta nel panorama giuridico italiano aprì le porte a nuove politiche di welfare state che oggi, pur mantenendosi valide, iniziano a mostrare qualche limite.
Nuovi orizzonti. La società, infatti, è in mutamento continuo e, con lei, anche i bisogni dell’uomo. Di riflesso, le cooperative sociali devono sapersi modellare alle nuove esigenze ma, soprattutto, porsi nuove sfide. Il messaggio arriva dal salone d’onore della Camera di commercio di Cuneo, dove lunedì 9 maggio le sezioni provinciali e regionali di Confcooperative e Federsolidarietà hanno organizzato il seminario Cooperazione sociale: 20 anni di storia – Il senso e il significato di una presenza sul territorio della nostra provincia a 20 anni dalla promulgazione della legge 381/1991.
Più forti della crisi. A concentrare l’attenzione sulle prospettive future del mondo cooperativo è stato il presidente provinciale di Federsolidarietà Alessandro Durando, il quale si è detto soddisfatto per la tenuta delle cooperative cuneesi davanti alla crisi internazionale.
«Le nostre cooperative hanno resistito alla congiuntura economica, mantenendo stabile l’occupazione e limitando al massimo la cassa integrazione in deroga», ha asserito Durando, il quale ha aggiunto: «La soddisfazione è doppia perché la cooperazione sociale ha saputo giocare fino in fondo la sua vocazione mutualistica e garantire servizi e occupazione, nonostante l’accentuarsi della concorrenza su prezzi sempre più contenuti, l’aumento del costo del lavoro non proporzionale alle reali dinamiche economico-finanziarie sostenibili dal sistema dei servizi e il ritardo dei pagamenti da parte degli enti pubblici».
Limiti, soluzioni e secondo welfare. Non sono però tutte rose e fiori. Dal 1991 a oggi, infatti, in seno alle cooperative sociali, sono emerse diverse carenze, tra cui il nodo delle dimensioni ridotte, la capitalizzazione spesso insufficiente, l’eccessiva dipendenza dalle risorse pubbliche, la difficoltà a comunicare all’esterno l’esperienza di cooperativa sociale e il deficit di competenze manageriali. Spiega Durando: «La coperta del welfare si sta restringendo ma i bisogni non vengono meno. Pertanto, le cooperative sociali dovranno progettare nuove risposte, attingendo a finanziamenti privati, in un’ottica integrativa e complementare al sistema pubblico. L’area su cui bisognerà puntare con attenzione è quella degli anziani e della prima infanzia, scommettendo su nuovi spazi e contando sulla risorsa dell’intersettorialità».
La nuova sfida della cooperazione sociale è lanciata.
Enrico Fonte