Passaggio in India

L’estate di don Franco Gallo ha avuto quest’anno un sapore speciale. Il parroco di Mussotto, Piana Biglini e Scaparoni si è recato in India, dove ha incontrato bambini, uomini, donne e anziani profondamente poveri, ma estremamente ricchi di valori. Gazzetta ha raccolto la sua esperienza.

Don Gallo, com’è nata l’idea del viaggio in India?

«Desideravo recarmi in questo Paese da diverso tempo. A inizio luglio, Mino Dellapiana, responsabile dell’associazione Isa (Iniziative solidali albesi per l’India; www.isaonlus.org), mi chiese se avessi voluto accompagnarlo nel viaggio organizzato per celebrare il venticinquesimo anniversario dell’impegno in India del suo sodalizio. Davanti a questa proposta, non ho esitato neppure un secondo».

Aprendo il diario di viaggio, che cosa si legge?

«Anzitutto, che il nostro viaggio non è stato turistico. Delle bellezze artistiche indiane non abbiamo visto nulla. Ci siamo concentrati sulla dimensione umanitaria e, in particolare, su quei villaggi e su quei piccoli centri cittadini che sono al centro dell’operato di Isa».

Com’è stato il suo primo impatto?

«Traumatico. Visitando il villaggio di Sennathur, ci siamo imbattuti in lunghe file di capanne che, oltre a correre il rischio di essere inondate dai monsoni, sono prive di qualsiasi forma di acquedotto e fognatura. Nelle capanne, la gente dorme a terra, sdraiata su semplici stuoie, che a stento trattengono l’umidità del pavimento. La situazione, già di per sé grave, precipita quando si rende necessario il ricorso all’assistenza medica, quasi del tutto assente. Per fortuna, a Sennathur, le suore hanno allestito un piccolo dispensario di medicine e una sorta di pronto soccorso per i casi di estrema necessità».

Che cosa ha pensato vedendo tutto questo?

«Povertà e dignità, unite a semplicità, mitezza e pazienza, sono perfettamente coniugate. Confrontandosi con queste realtà viene spontaneo pensare che noi, abitanti del mondo occidentale, dovremmo fare un passo indietro, mentre i Paesi in via di sviluppo dovrebbero poterne fare uno in avanti».

Potrebbe essere la soluzione giusta per rialzarsi anche dalla crisi?

«Potrebbe, ma è un discorso che va oltre la congiuntura economica. Riguarda la sfera etica e morale di ogni individuo. Noi, immersi nel benessere, siamo diventati disumani, mentre loro, soli nella povertà, riescono a offrire una lezione di umanità sincera e autentica».

I nostri aiuti possono realmente contrastare la povertà e il disagio?

«Sì. Le adozioni a distanza sono un ottimo strumento, in quanto offrono ai ragazzi indiani, alcuni dei quali orfani e disabili, l’opportunità di avere un futuro migliore. Ne sono un esempio i giovani che, dopo essere stati aiutati da Mino Dellapiana e dalla sua associazione, oggi lavorano come insegnanti o, comunque, ricoprono incarichi di responsabilità».

Oltre che con le adozioni, come si possono sostenere le popolazioni dell’India?

«Con contributi diretti, che Isa impiegherà, ad esempio, per completare una sala polivalente, in fase di costruzione al centro del villaggio. Gli abitanti della zona stanno prestando gratuitamente la propria mano d’opera, in attesa di nuovi aiuti, necessari per l’acquisto del materiale».

Concludiamo con i ricordi più belli del viaggio.

«L’accoglienza umile e semplice della popolazione locale, il sorriso dei bambini, l’attenzione nei confronti degli anziani e il rispetto per le altre religioni. Nella mia mente, l’arretratezza sociale ed economica dell’India, che colpisce di primo acchito, è stata surclassata dai valori positivi e autentici dei suoi abitanti, i quali vivono la loro quotidianità tendendo all’essere e non all’avere».

Enrico Fonte

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