Giorgio Faletti, «un semplice osservatore del mondo»

In un Teatro sociale pieno, martedì scorso Giorgio Faletti ha presentato, su invito di Collisioni, il suo nuovo libro Tre atti e due tempi. Al termine di un’one man show che ha confermato come le doti cabarettistiche di Faletti siano tutt’altro che sopite, non potevano mancare le domande.

Giorgio Faletti

Dal thriller “all’americana” sei passato a un romanzo ambientato in provincia che si snoda sullo sfondo del mondo del calcio.

«Questa volta è tutto diverso! Dall’editore e dal formato, più breve, per finire con l’ambientazione. È che avevo voglia di cambiare e raccogliere la sfida di scrivere un grande romanzo ambientato nei nostri luoghi. Così ho pensato la mia storia su scenari molto simili a quelli del Monferrato, della mia Asti o della stessa Alba, che conosco bene per averla frequentata da ragazzo. Fondamentalmente quest’inversione si può ricondurre a un unico concetto: l’autore ha sempre diritto di stupire prima di tutto se stesso. E poi resta fermo che per me è thriller non solamente una storia con vittime e assassini, ma tutto ciò che riesce a tenere il lettore in sospeso tra le righe».

Hai precisato che non è un romanzo sul calcio. Come nasce l’idea?

«Non nascondo che una spinta ulteriore alla scrittura mi sia stata data dall’incredibile favola del Novara promosso in serie A: una città e una squadra di provincia, con calciatori totalmente unglamour, che si trovano magicamente catapultati ad affrontare i giganti dorati, con tutte le conseguenze positive e negative che le luci della ribalta possono comportare. Ho interpellato anche un grande giocatore come Alessandro Del Piero per capire meglio come funziona la vita nello spogliatoio, quali rapporti umani si instaurano tra questi titani di due metri, scoprendo che in realtà sono più fragili di come appaiono, coinvolti quotidianamente in un veloce alternarsi di gioie e delusioni. E in un viaggio verso Tokyo ho letteralmente tormentato per tutta la durata del volo il ct del Giappone Alberto Zaccheroni per sapere tutto su come viene vissuto il pianeta calcio dall’interno».

È più difficile scrivere un monologo satirico o far dialogare i cattivi dei tuoi gialli?

«Credo che far ridere una platea sia davvero la cosa più faticosa che ci sia. E poi in fondo io mi ritengo un semplice osservatore del mondo: nelle fasi della mia vita ho trasformato questa attitudine dapprima in sketch televisivi, quandoero più giovane e spensierato, e ora nei miei romanzi, che riflettono il mio animo più riflessivo e se vogliamo malinconico».

Alberto Giordano

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