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Il diploma della Trifola

Eccolo arrivare. Fresco di raccolta il tartufo si avvicina alla postazione dei suoi giudici. È molto presto e il vociare curioso dei turisti, che camminano avanti e indietro per il padiglione, è ancora lontano. Nel primo sabato di novembre solo il rumore della pioggia, assordante sotto il tendone nel cortile della Maddalena, fa da intermezzo ai gesti che ogni fine settimana si ripetono prima dell’apertura del Mercato mondiale del tartufo bianco d’Alba. I cercatori si confrontano, commentano a vicenda la portata del rispettivo raccolto e si mettono in fila davanti alla temuta postazione, innalzata rispetto alle altre, come a voler ricordare che non saranno loro a decidere cosa mettere in vendita. Il trifulao porge il suo cestino e guarda il giudice.

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Il giudice guarda i tartufi e li annusa, poi li tocca, delicatamente ma con attenzione. Uno per uno. Poi si blocca, posa lo sguardo sul trifulao e scuote la testa, deluso: «Questo te lo vieni a riprendere stasera». «Per conto mio non era da togliere », bofonchia il trifulao di Bra, mentre mette in bella mostra le pepite, da una parte le bianche e dall’altra le nere, che un simile controllo non se lo meritano neppure. Accanto a lui sono pronti i sacchettini numerati, uno per ogni tartufo in vendita: caratteri rossi per i bianchi e verdi per i neri e i bianchi di piccola pezzatura. In questo modo, ciascun cliente potrà risalire al venditore in caso di problemi, oltre che chiedere un ulteriore controllo alla giuria, a merce acquistata. «Questo me lo riporti quando è pulito», sentenzia ancora Paolo Stacchini, giudice tra i giudici, con un lieve rimprovero nella voce verso chi si è permesso di portare al suo cospetto una trifola piena di terra, più pesante e svantaggiosa per le tasche dei turisti. Ma c’è anche chi ripropone un tartufo già scartato nei giorni precedenti, nel vano tentativo di rimetterlo sul mercato, con i difetti già rilevati ancora più accentuati.

Per garantire ai clienti la qualità del prodotto, con prezzi che raggiungono i 370 euro all’etto, si bada agli odori sgradevoli, causati dal deperimento: ammoniaca, metano e fermentato. E alle piccole macchie scure, che indicano la presenza di micosi, e al grado di maturazione. E si cercano gli odori caratteriali, che servono, anche ai consumatori, per riconoscere un buon tartufo: «Tra questi il miele, il fungo, la terra bagnata e l’aglio», spiega Stacchini, mentre posa sulla bilancia le cinquantotto trifole di Giovanni Ronzano: «Un chilo e quattrocentocinquanta grammi!».

Chiara Cavalleris

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