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Il Natale di Anna, un libro e un cielo indiano

La storia comincia nel 1971, nel Meridione d’Italia, e si protrae fino a Natale di quest’anno, ad Alba. L’esordio è una tragedia – fatta di malavita, schiavitù e tortura –, l’epilogo una formidabile opera di salvezza. Anna Salvati ci accoglie nella casa della Moretta: in braccio ha un bambino con gli occhi azzurri, a fianco c’è il marito. Sul tavolo di noce è appoggiato un libro dal titolo pulito e innocente: La mia storia.

L’autrice del volumetto di trenta pagine è lei, Anna. Negli ultimi quattro anni ha trasferito sulla carta la propria biografia, nel tentativo di ricucire le ferite e di trasformarle in una cura per il mondo. Oggi il volume è in vendita (si può acquistare, contattando l’autrice al numero 340-48.78.769 o allo 0173-33.778, oppure sul sito www.isaonlus.org): il ricavato andrà ai bambini del villaggio di Sennathur, nel Sud dell’India, grazie all’opera di mediazione dell’associazione albese Isa, presieduta da Mino Dellapiana, di cui Gazzetta ha di recente raccontato l’intervento a favore dei piccoli.

Come comincia la sua storia, Anna?

«Il primo evento traumatico fu la morte di mia madre, avevo otto anni. È stata dura. Quando crebbi sopraggiunse la seconda tragedia. Ero fidanzata conun ragazzo,mafui costretta a lasciarlo per sposare un uomo che non amavo».

Come, fu “costretta”? 

«La malavita organizzata nel Sud controllava il territorio e gli accadimenti. Se un uomo potente desiderava in sposa una ragazza, sborsava una certasommadi denaro alla famiglia della vittima e, a questo punto, la ragazza doveva accondiscendere».

Altrimenti?

«Altrimenti poteva incorrere in gravi punizioni, la morte, ad esempio. Ho sentito di molte ragazze finite in questo modo.Così, soprattutto a causa dell’azione malefica di mia suocera, principale responsabile di ciò che miaccadde, dovetti accettare il “matrimonio forzato”. Pensai: il Signore mi aiuterà».

E poi?

«Mi chiusero in casa. Non potevo uscire, c’era pure il fil di ferro sul muro esterno. In pratica per cinque anni fui una schiava.Nonpotevo vedere mio padre, non conservavo libertà di alcun genere. Un terribile calvario».

Come ha fatto a salvarsi?

«Un giorno pioveva forte, io ero molto arrabbiata, arrivata a un punto di saturazione. Così, presi la statua di Sant’Antonio, la portai fuori pregandolo di salvarmi, giurando che l’avrei lasciato alla pioggia se nonmi avesse ascoltata. Il giornodopo feci infuriare mia suocera, già adirata per la storia della statua. Cominciò a percuotermi violentemente con un palo grande, di quelli che si usavano per stendere. Sanguinavo dappertutto, poi ho perso coscienza. Mi ritrovai all’ospedale. Da quel momento mio padre – scioccato nel vedermi ridotta così male – mi riaccolse con lui. Gli avvocati prepararono le carte, fui finalmente libera».

Dev’essere stata dura. Ma com’è arrivata ad Alba?

«La storia prosegue con un passaggio a livello sradicato, un fortunato incontro, una scelta azzeccata. Meglio leggere il libro per conoscere il finale!». Ovviamente. Tra l’altro, tutto il ricavato della vendita confluirà in un’opera di beneficenza. «Sì. Il ricavato del libro sostanzierà il finanziamento al villaggio di Sennathur, nel Sud dell’India. Adottando a distanza i bambini indiani oppure aiutandoli a comprare il necessario per sopravvivere sento di “recuperare” e riparare i frammenti dolorosi della mia storia. Per ora abbiamo raccolto quasi 5 mila euro, che l’associazione Isa ha già spedito a Sennathur. Ma quei bambini hanno bisogno di altri aiuti. Il libro è qui, per chiunque voglia regalare un Natale migliore a creature in affanno».

m.v.

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