Il Natale ritorna anche in un anno segnato da difficoltà e crisi dai molteplici aspetti. Ciò che potrebbe semplicemente apparire come una stanca tradizione, incapace di reggere l’usura della ripetizione, vuole invece testimoniare, ancora una volta, anche in questo nostro tempo, che Dio è fedele, che egli ama l’uomo, che non lo abbandona a un destino di insignificanza e scacco.
Ma perché questa ricorrenza possa dispiegare almeno un po’ del suo potenziale, pretende da noi credenti uno sforzo – probabilmente non di poco conto – di serietà e coerenza: parole che sembrano stridere con l’atmosfera della festa, ma che invece trovano forti stimoli proprio nel clima sociale e culturale che stiamo vivendo.
Da un lato la crisi economica, con il grave conto che presenta a tutti noi, ci induce a scelte di sobrietà capaci di favorire la riscoperta del vero senso religioso del Natale, appannato da anni di superficiale consumismo; dall’altra le sfide che la mentalità corrente pone alla pratica religiosa la provocano a una riflessione sul suo valore e sulla sua capacità di dare significato alla vita.
Entrambe queste dinamiche possono dunque indicare delle opportunità per un ripensamento della fede veramente in grado di incidere nell’umano. Si tratta, come persone e come credenti, di essere vigilanti sul nostro tempo e le sue istanze, per cogliervi i messaggi di umanizzazione che contiene e per individuare nelle sue pieghe la perenne azione dello Spirito del Signore.
E poiché siamo chiamati a superare il pervasivo individualismo per vivere più adeguatamente la nostra irrinunciabile dimensione comunitaria, la famiglia e la Chiesa si propongono come ambiti privilegiati in cui “crescere insieme”, secondo le indicazioni della recente lettera pastorale.
Sì, questo Natale può, deve essere occasione di maturazione – umana e di fede – per ciascuno di noi, negli ambienti che più da vicino ci segnano come uomini e come cristiani: la famiglia e la parrocchia, per l’appunto.
Se non ci è chiesto di rinunciare alle più comuni espressioni esteriori della festa (le luci, i regali, la convivialità…), questo Natale può essere occasione propizia, tempo favorevole per una nuova esplorazione dei suoi significati più profondi, che ci consentano di liberarci da incrostazioni consumistiche imposte e di riappropriarci di una libertà e responsabilità veramente umane e cristiane.
Non siamo marionette disposte a lasciarci manovrare da questo o quel “grande fratello”, né intendiamo correre il rischio di permettere che la nostra fede venga svuotata dall’adesione acritica a mode imperanti.
E tuttavia si tratta di rischi che incombono minacciosi e dai quali non è così difficile lasciarci travolgere. Libertà e responsabilità non sono merce a buon mercato, né, nonostante ammiccamenti diversi, è iniziata la loro svendita. Sono il risultato di serietà e ricerca che neppure le feste di fine anno mandano in vacanza.
Al contrario le provocano a un soprappiù di vigilanza: la posta in gioco è la riscoperta della bellezza della fede, della sua adesione alle istanze più profonde della nostra umanità, della sua capacità di apportarle non solo un completamento appropriato, ma anche un superamento altrimenti impensabile e inaccessibile.
Sì, il Natale ci presenta – se lo vogliamo, quest’anno più che mai – un Dio che non è lontano dalle nostre miserie e preoccupazioni, che non è estraneo alle nostre esperienze, che ha a cuore la nostra realizzazione.
Se è vero che come credenti siamo chiamati a una continua revisione e purificazione del volto di Dio che coltiviamo, questo Natale ci mostra un Dio innamorato, nonostante tutto, dell’umanità, della nostra umanità, personale e comunitaria, alla quale intende ancora una volta proporre una comunione capace di darle senso e trasfigurarla.
Più che altre occasioni, il Natale ci testimonia che fede e vita non sono compartimenti stagno, che il nostro credere non si esaurisce nelle pratiche religiose: Dio si è fatto uomo per aprirci a una relazione con lui che si incarni in ogni ambito della nostra esistenza e faccia lievitare in essa la novità della “vita buona del Vangelo”. Dio nasce come uomo perché noi rinasciamo come figli di Dio e fratelli in Gesù: non c’è settore della vita, non c’è ambito dell’esistenza che non siano chiamati in causa da un evento tanto straordinario e rivoluzionario.
Se ci capita di sentire il peso di una routine spesso arida e grigia, se a volte soffriamo per avere smarrito il senso di ciò che facciamo, se il peso dei problemi materiali ci ha fatto arrendere di fronte alle difficoltà dell’educazione dei figli e della testimonianza che dobbiamo loro, questo Natale ritorna per noi. Non lasciamocelo scippare da un consumismo ormai logoro, né da una passiva acquiescenza all’andazzo generalizzato: siamo noi i responsabili primi della nostra vita e insieme della nostra famiglia e comunità. La nascita di Gesù è invito e occasione per la nostra rinascita. Buon Natale cristiano a tutti, specie a chi più soffre i problemi del nostro tempo e quelli di sempre: la malattia, la solitudine, l’emarginazione, il distacco… Gesù nasce per tutti, ma specialmente per voi. Gesù ci addita uno stile di vicinanza e condivisione che non possiamo non accogliere.
Giacomo Lanzetti, vescovo