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La scuola paritaria, bene di tutti e per tutti

 

Se si parte dal presupposto che la scuola è un “bene per tutti” (non solo nel senso che nessuno possa essere escluso in quanto diritto universale, ma anche in quanto la promozione individuale ricade a beneficio dell’intera collettività), non si può non concludere che la scuola paritaria, al pari di quella statale, debba occupare un posto di assoluta “preminenza” nell’agenda di chiunque governi e amministri il nostro Paese affinché entrambe possano svolgere in maniera compiuta ed efficace la loro funzione. Per la ovvia ragione che solo le scuole di qualità assolvono “effettivamente” il diritto di istruzione ed educazione di ciascun studente; sono “condizione e garanzia” di sviluppo economico e di progresso umano e civile; “realizzano” il mandato educativo che la società affida loro e possono, perciò, legittimamente “reclamare” il finanziamento pubblico. Parlando di scuola, è la qualità “il vero problema” che deve essere tenuto al centro del dibattito perché è solo la qualità del servizio erogato la quale fa sì che una scuola (statale o paritaria) sia veramente “di fatto”, e non solo di “diritto”, un bene “di” tutti e un bene “per” tutti. Ma se questo è il vero problema, è evidente quanto sia fuorviante, pretestuosa, ideologica la polemica che contrappone la scuola statale a quella paritaria, quasi che la seconda sia una manifestazione di un interesse “privato” a scapito di un bene “pubblico” garantito dalla prima. Come è altrettanto fuorviante che la scuola paritaria possa, diversamente da quella statale, svolgere i suoi compiti istituzionali senza il corrispettivo finanziamento da parte dello Stato. Relativamente alla scuola paritaria la legge n. 62 del 2000, rompendo alcuni vecchi tabù ideologici che sembravano insormontabili, puntualizza in maniera inequivocabile alcuni princìpi fondamentali: «La scuola paritaria è parte “integrante e costitutiva” dell’unico sistema educativo nazionale di istruzione e formazione; svolge un “servizio pubblico” e di “pubblico interesse”; non si contrappone alla scuola statale ma concorre insieme a essa alla promozione culturale, sociale, economica del Paese; è soggetto giuridico pienamente “legittimo” e “legittimato” a ricevere per l’attività che svolge un finanziamento pubblico; la famiglia ha diritto di “scegliere liberamente” la scuola più conforme alle proprie aspirazioni»

Quale l’auspicio a dodici anni dalla proclamazione di questa legge? Semplicemente che venga pienamente applicata. Cioè che i diritti umani e civili (quello di istruzione ed educazione, della libertà di scelta educativa), dei quali è espressione e garanzia, siano effettivamente riconosciuti e, quindi, coloro che la scelgono non siano sul piano economico discriminati rispetto agli altri che optano per la scuola statale. L’auspicio, cioè, che si verifichi quanto affermato a chiare lettere dal Parlamento europeo in una sua Risoluzione del 14 marzo 1984: «Il diritto alla libertà di insegnamento implica per sua natura l’obbligo per gli Stati membri di rendere possibile l’esercizio di tale diritto anche sotto il profilo finanziario e di accordare alle scuole le sovvenzioni pubbliche necessarie allo svolgimento dei loro compiti e all’adempimento dei loro obblighi in condizioni uguali a quelle di cui beneficiano gli istituti statali corrispondenti, senza discriminazioni nei confronti degli organizzatori, dei genitori, degli alunni e del personale» (art. 1.9). Allorché in Italia, come in tutti i Paesi più avanzati dell’Occidente, la scuola paritaria sarà finalmente riconosciuta come una grande risorsa strategica nell’interesse di tutti e sarà, perciò, finanziata dallo Stato, la libertà, il pluralismo avranno fatto un balzo in avanti nella direzione di una democrazia compiuta e i giovani e le famiglie avranno un referente eccezionalmente qualificato a cui far capo per riuscire a fronteggiare le grandi sfide educative della società moderna che su di loro pesantemente incombono.

Francesco Macrì, presidente nazionale Fidae

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