Addio ad Aldo Conterno barolista ironico e rigoroso

Aldo Conterno
Il produttore vinicolo Aldo Conterno

A Monforte Aldo Conterno, morto la scorsa settimana a 80 anni, era nato il giorno di santa Chiara (11 agosto) del 1931 e al suo paese, come al Barolo, è rimasto legato in maniera profonda. Nel vino era nato e nel vino è restato, con quel modo di essere rigoroso e al tempo stesso ironico, che lo faceva apprezzare e amare.

Ricordo quando mi raccontò la storia di famiglia: il papà Giacomo, quello che era nato in Argentina e anche là produceva e vendeva vino. Ricordo gli occhi di Aldo come si illuminavano quando parlava di suo padre, colui che aveva lasciato in eredità alla famiglia e alla zona del Barolo il “Monfortino”, prodotto per la prima volta nel 1921.

Di persona, Aldo, l’ho conosciuto a fine anni Settanta, arrivando al Consorzio del Barolo e Barbaresco, ma di fama lo conoscevo da prima, perché era uno dei produttori che aveva capito in tempi non sospetti che il Barolo è un grande vino per il quale vale la pena impegnarsi, lottare e persino scommettere.

Come suo papà, anche Aldo ha avuto un’America sul cammino, quella del Nord, gli Stati Uniti, la California, in particolare la Napa Valley, dove suo zio Franco Conterno lo aveva chiamato perché lo aiutasse a piantare le vigne in collina. Si stupiva che gli americani si intestardissero a piantare le viti prevalentemente in pianura dove non si poteva fare il vino buono.

Aveva 21 anni quando andò in America e ci rimase tre anni. Durante quel periodo capì tante cose, compreso il fatto che nella vita ciò che è fondamentale è la fortuna. Se ne accorse proprio in quel periodo, quando dovette rispondere alla chiamata di leva e gli Stati Uniti lo spedirono a fare la guerra in Corea. Ricordo la sua emozione quando mi raccontò di quel giorno di licenza in cui, con altri soldati, aveva deciso di volare a Tokyo per visitare la capitale del Giappone. A qualche decina di chilometri da Seul, si era guastato il camion su cui avevano trovato posto per il trasferimento. C’erano volute ore per aggiustarlo. Così erano arrivati in ritardo e, avvicinandosi all’aeroporto di Seul, avevano visto il loro aereo decollare. D’istinto imprecarono contro la sfortuna, ma cambiarono presto idea vedendo quell’aereo inabissarsi nel mare. Ricordo il suo commento: «Nella vita puoi essere bravo fin che vuoi, puoi dedicare tutto l’impegno possibile allo studio e al lavoro, ma se non hai fortuna, non fai molta strada».
Dopo averla cercata in America, Aldo la sua fortuna l’ha trovata sulle colline di Monforte, dove è tornato nel cuore degli anni Cinquanta. Fino al 1969 è rimasto con suo padre nell’azienda di casa; poi capì che doveva fare qualcosa di suo. Fu così che arrivò alla Bussia di Monforte, alla cascina Favot, da dove non si spostò più. Iniziò così l’ascesa della Poderi Aldo Conterno. Nel 1970 produsse per la prima volta il “Gran Bussia”, poi uno alla volta tutti gli altri, la “Vigna Colonnello”, il “Romirasco”, il “Cicala”.

Ma lui è rimasto sempre con i piedi per terra. Gli era bastato illudersi una volta sola per imparare la lezione. Arrivando alla cascina Favot, pensava che tutto fosse facile. C’erano pochi concorrenti, il vino quasi quasi si vendeva da solo. E poi, anche lì c’era il Barolo e lui si chiamava pur sempre Conterno. «Ma non fu così», mi disse un giorno. «Per me fu come un brutto risveglio. Compresi ben presto che non bastava chiamarsi Conterno. Quante difficoltà ho dovuto superare, quante volte ho dovuto tornare per conquistare un cliente!».

Un passo dopo l’altro e il tempo è passato. Troppo in fretta, in rapporto a ciò che avrebbe potuto ancora fare. Una malattia subdola ce lo ha portato via. Sono certo che lassù, tra le tante certezze Aldo avrà un rimpianto: non aver potuto mantenere l’impegno con i suoi coetanei per stappare insieme, nel 2031, quell’ultimo grande formato da 12 litri di Barolo 1931, che suo padre aveva accantonato per lui l’anno che era nato. Ma questo rimpianto non spegnerà il suo sorriso. Troverà altri modi per brindare e gioire con chi gli ha voluto e gli vuole bene.

Giancarlo Montaldo

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