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Se il lavoro diventa SOGNO

Nel mondo – dati dell’Organizzazione internazionale per il lavoro – sono 202 milioni i disoccupati, un gruppo di “inerti” che in Italia conta 2,1 milioni di persone. Per i giovani del nostro Paese i numeri sono ancora più allarmanti: la disoccupazione sfiora il 33 per cento, più che raddoppiata rispetto a inizio 2008. Ci pensa pure l’Istat a rincarare la dose: secondo l’Istituto di statistica a marzo 2012 il tasso di disoccupazione è salito al 9,8 per cento, in rialzo di 0,2 punti percentuali rispetto a febbraio e di 1,7 punti rispetto all’anno precedente.

OCCUPAZIONE – Più che la festa del lavoro il primo maggio sembrava la triste celebrazione del non-lavoro. Cresce infatti l’esercito di cassaintegrati, disoccupati, licenziati, precari, addirittura suicidi per mancanza d’impiego o a causa delle criticità della crisi; incrementano anche coloro che apparterranno in futuro a una di queste categorie (gli studenti di oggi, ad esempio, i quali nutrono poche speranze) e di coloro che dovranno accontentarsi di un rimedio, di una mansione sottodimensionata rispetto alle proprie capacità, abilità, conoscenze. Il primo maggio è stato un dipinto increscioso, ma con un preciso significato: suggerire l’inadeguatezza di un sistema arrugginito.
I cortei che hanno solcato le strade del Paese, dunque, parevano ribelli più che celebrativi. A Torino la Polizia ha caricato i manifestanti che hanno tentato di assediare il municipio, altrove i cori e i comizi contro la classe politica hanno monopolizzato la giornata. Fatti giustificati dai numeri: secondo le cifre diffuse la scorsa settimana dall’Organizzazione internazionale del lavoro (Ilo), nel mondo sono 202 milioni i disoccupati, un gruppo di “inerti” che in Italia conta 2,1 milioni di persone (il 9,7 per cento della popolazione in età lavorativa). Considerando anche i 250 mila lavoratori in cassa integrazione, l’ammontare potrebbe superare il 10 per cento. Per i giovani i numeri sono ancora più allarmanti: la disoccupazione sfiora il 33 per cento, più che raddoppiata rispetto a inizio 2008.

Ci pensa l’Istat (Istituto nazionale di statistica) a rincarare la dose: secondo i dati diffusi il 3 maggio, a marzo 2012 il tasso di disoccupazione è salito al 9,8 per cento, in rialzo di 0,2 punti percentuale rispetto a febbraio e di 1,7 punti rispetto all’anno precedente. È il tasso più alto da gennaio 2004. La concordanza di rilevazioni tra gli istituti di ricerca suggerisce di non prendere sottogamba i numeri, le virgole e le percentuali: per quanto matematiche e sterili, nascondono un mondo occupazionale ed esistenziale in grave difficoltà, un universo fatto di pelle e gesti, di sogni messi in dubbio e piani di vita mutilati. Non contribuisce a migliorare la situazione l’austerity politica, che invece di colpire i privilegiati tocca deboli e famiglie, e che invece di dissodare il terreno economico lo congela.
Per quanto riguarda la situazione locale, l’assessore albese al lavoro, Olindo Cervella, ha commentato: «Alba rimane un’“isola felice”, anche se meno di un tempo. Tuttavia, anche nel nostro territorio assistiamo a ritardi nei pagamenti e si rileva estrema difficoltà a incassare da parte degli imprenditori, con la conseguente diffidenza da parte delle banche a concedere prestiti. Il circolo vizioso è evidente, dobbiamo stare attenti, affinché le dinamiche occupazionali non subiscano regressioni».
Vigilanza invece che arrendevolezza, slancio costruttivo invece del pessimismo: solo un radicale ripensamento dei modelli sociali, civici e politici potrà contribuire a recuperare un concetto di lavoro compromesso, frammentato e sminuito.

GLI IMPRENDITORI

I politici ci prosciugano i conti

“Parliamo con Nicola, titolare di una ditta di carpenteria metallica di Alba. Preferisce non rendere pubblico il nome dell’azienda, ma nella sua storia sono racchiuse le esperienze di centinaia d’imprenditori.
 Come vanno le cose, Nicola?  «In una parola, ci stanno svuotando i conti correnti. Sempre più imposizioni, sempre meno concessioni. Non c’è margine d’investimento. Perciò, per sopravvivere tutti abbattono i costi ovvero erogano prestazioni a costi nettamente inferiori rispetto al loro valore. Si finisce per rinunciare al profitto, si innesca una vera e propria guerra tra poveri. Il problema è che per rimanere a galla si sacrificano i dipendenti. Non si assume più, gli stipendi sono a rischio, la tredicesima non parliamone».
 Che cosa potrebbe fare la politica?  «Non chiediamo regali né concessioni, solo di poterci sentire tranquilli. Ad esempio, se decido di investire devo essere consapevole che è un rischio. Ma lo Stato potrebbe garantire sconti o tassi agevolati a seconda che l’investimento vada o meno a buon fine: potrebbe essere un incentivo importante, che “olierebbe” un sistema arrugginito. Inoltre, il meccanismo di assunzione dovrebbe essere semplificato: sono infinite le fatiche burocratiche, formative e assicurative che dobbiamo affrontare. La mia azienda ha una decina di addetti. Non posso assumere non solo per ragioni economiche, ma anche procedurali».
 Ci sono imprenditori che si sono uccisi a causa del debito maturato con le banche. Che ne pensa?  «Pongo molta attenzione alla serenità dei dipendenti. Cosa che coincide con l’interesse “sociale”: se i lavoratori stanno bene, spendono e rigenerano l’economia. Quanto ai suicidi degli imprenditori, per quanto mi riguarda credo sia opportuno rivolgere la rabbia verso i responsabili di questa situazione piuttosto che su me stesso». 

Ad Alba mancano i lavoratori

“«Lavorare in Messico è una pacchia: sugli autobus c’è il wi-fi, improponibile da noi». Amaro l’aneddoto che implica la presenza, in Italia, di un sistema obsoleto e poco accogliente verso le esigenze degli imprenditori. Parliamo con Piermarco Moscone, leader di Progecta. L’azienda si occupa di software, ha venti dipendenti, una filiale ad Alba e una a Sofia, in Bulgaria. La sua è una posizione “privilegiata” sul mercato, dato che le nuove tecnologie risultano relativamente immuni alle turbolenze recessionali. Progecta ha infatti assunto quattro persone negli ultimi due anni, crescendo del 20 per cento sul fronte delle risorse umane. Spiega Moscone: «Ad Alba ci sono grandi aziende, come Ferrero, che “muovono” il mercato. Non possiamo lamentarci, abbiamo prospettive di lavoro solide fino al prossimo anno. Il nostro segreto? Grande flessibilità, struttura snella, un know how diffuso e specifico. E soprattutto, lavoriamo pure all’estero. Chi lavora altrove riesce a fronteggiare la crisi in maniera più efficace rispetto a chi opera nel solo contesto nazionale».
Passando alle criticità, l’imprenditore dissotterra uno scheletro paradossale, pensando alla situazione del resto del Paese: «Il problema dell’albese è nella carenza di offerta: facciamo difficoltà a reperire tecnici adeguati, preparati, giovani e con voglia di viaggiare. Il sistema universitario garantisce formazioni povere, non adatte alla realtà». Le altre magagne incontrate da Progecta sono quelle ben note: eccesso di burocrazia, pressione fiscale insostenibile (le tasse possono “mangiarsi” fino al 50 per cento degli utili, spiega l’imprenditore), mancanza di servizi e agevolazioni da parte dello Stato che chiede ma non offre, esige ma non consente. Conclude Moscone: «Mancano politici che siano anche manager: non si può pensare di amministrare l’azienda-Paese senza una conoscenza ravvicinata della realtà imprenditoriale».
Progecta è l’esempio di un talento: una media impresa nata da zero e capace di resistere a un sistema screpolato e confuso. Come tutti gli altri talenti, dovrà essere coltivato, affinché possa crescere e maturare frutti.

Matteo Viberti

foto Corbis

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