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Un restauro difficile

Anna Rosa Nicola Pisano (Direttore tecnico NICOLA RESTAURI srl, Aramengo, Asti).

Fin da subito, alla partenza di questo grande progetto, l’idea di poter mettere mano su un’opera di questa straordinaria bellezza e importanza, mi aveva procurato una grande emozione.

È mio desiderio ringraziare la Banca d’Alba per averci dato la possibilità di intervenire su questo prestigioso dipinto, in particolar modo ringrazio il Presidente il Dott. Felice Cerruti, l’Arch. Luca Deabate che ci ha messo in contatto e il Dott. Pierangelo Battaglino per il suo brillante lavoro di coordinamento. La mia gratitudine e ammirazione al Prof. Lionello Puppi che ha fortemente desiderato questo intervento e si è generosamente adoperato affinché si potesse realizzare. Un altrettanto doveroso ringraziamento va alla Dott.sa Claudia Cremonini e alla Dott.sa Gloria Tranquilli, che hanno diretto in modo attivo i lavori di restauro, fornendo preziose indicazioni metodologiche e tecniche.

Mano a mano tuttavia che proseguivo a leggere delle travagliate vicende conservative cui l’opera era andata incontro nei secoli, accanto al forte desiderio di riscoprire le pennellate e i colori di Tiziano, aumentava la mia preoccupazione per le grandi difficoltà che inevitabilmente avremmo incontrato nel corso dell’intervento. L’opera infatti non era in buone condizioni, nonostante non fosse passato molto tempo dal restauro del 1989, ultimo di una lunga serie di interventi che avevano cercato di porre rimedio ai gravi problemi conservativi cui il dipinto era andato incontro già pochi decenni dopo la sua realizzazione. Molto presto l’opera aveva manifestato una certa instabilità a livello della pellicola cromatica che tendeva a staccarsi dal supporto e si era scurita così tanto da richiedere un primo restauro già a metà del Settecento. A questo ne seguirono molti altri – almeno undici quelli certi e documentati (M.G.SARTI, Il restauro dei dipinti a Venezia alla fine dell’Ottocento. L’attività di Guglielmo Botti Sommacampagna (VR) 2004; G. NEPI SCIRE’ Recenti restauri di opere di Tiziano a Venezia, in Tiziano, catalogo della mostra, Venezia 1990.) – che interessarono la tela di supporto, più volte rifoderata, talvolta con risultati disastrosi (Attorno agli anni quaranta dell’Ottocento il dipinto venne rifoderato senza proteggere la superficie dipinta; le colle stese a caldo sul retro della tela trapassarono sul davanti; molti frammenti di colore restarono incollati al pavimento “..molte parti degli autentici impasti di Tiziano rimasero attaccate al suolo, e la tela fu rialzata piena di larghe piaghe, che il Lorenzi medicò in modo che meglio sarebbe stato lasciar quelle piaghe visibili e manifeste.” ).

La superficie dipinta fu sottoposta a ripetute sommarie puliture, seguite ogni volta da pesanti rifacimenti. Tra il 1881 e il 1882 Guglielmo Botti cercò di fermare il degrado della pellicola pittorica che continuava a manifestare problemi di stabilità trasferendola su una nuova tela rimuovendo quella originale con un’operazione delicatissima quanto rischiosa. Oggi possiamo dire che, per quanto drastico, questo intervento, fin da subito molto criticato, non venne invece eseguito in malo modo; su gran parte della superficie dipinta si riscontra infatti ancora chiaramente l’impronta diagonale della tela originaria di Tiziano, segno che in queste aree tutto lo strato preparatorio è stato salvato. Come restauratore, vorrei approfittare di questo spazio per restituire merito anche ad un altro antico collega intervenuto su questo dipinto: Sebastiano Santi che nel 1835, ricevette l’incarico di restaurare il dipinto con l’aiuto del corpo accademico (per 1500 lire contro le 1800 proposte…). Il restauratore dovette, suo malgrado, obbedire a quanto richiesto dalla Presidenza della Accademia e riprendere con colore a corpo, ciò che ritenevano “abbozzi privi di velature”. Tentò tuttavia di opporsi ribadendo che ogni restauratore ha il dovere di conservare “con ogni guisa quanto di originale esiste nel quadro” e, non riuscendo ad imporre la sua idea, pretese un ordine scritto dalla direzione dei lavori “ond’essere garantito nel caso che ciò non avesse a riportare la comune approvazione” ed anche “l’atto di laudo”, una sorta di certificato di regolare esecuzione una volta terminato l’intervento, un anno dopo. L’ordine arrivò con indicazioni preziose per noi, era quello di “…ingannare l’occhio più esperto intorno alle parti ch’è assolutamente indispensabile di rimettere, facendole comparire antiche quanto l’originale…” utilizzando fuliggine macinata unita alla colla d’amido, applicata sulle parti nuove e quindi raschiata “col solito mezzo del ferretto fino a che la parte ritorni ad essere luminosa com’era prima”. Abbondanti tracce di colla sono state trovate sulla superficie nel corso della pulitura. Potrebbe forse trattarsi di questa colla o di quella utilizzata dal Botti per applicare il triplo strato di mussole a protezione della superficie dipinta prima di eseguite la trasposizione del colore. Certamente la sovrapposizione di materiali diversi e l’assorbimento estremamente eterogeneo della superficie dipinta continuava a creare problemi di leggibilità; in un documento del 1894 (Dalla relazione sui restauri di Botti, di Giulio Cantalamessa per il Ministero, 1894 – M.G.SARTI op cit. pag. 161.) si legge “.. una fastidiosa verniciatura che pare smalto vitreo sovrapposto al dipinto… un lustro simile a quello delle carrozze,… qua e là chiazze azzurrognole di prosciugo che tradiscono l’intonazione, vietano la percezione dei modellati e a lungo andare irrancidiscono il dipinto”.

Al momento del nostro intervento i contrasti, le trasparenze, i passaggi di luce, le pennellate vibranti tipiche dell’artista risultavano gravemente compromessi e stravolti dalla sovrapposizione delle varie patinature e riprese pittoriche arbitrarie non rimosse o solo parzialmente asportate nei restauri precedenti. L’intera superficie appariva fastidiosamente ed eterogeneamente macchiata da alterazioni cromatiche, squilibri di vernice, colature e prosciughi; alcune zone erano molto ossidate, sbiancate, opache e aride, altre invece avevano un tono giallo ambrato ed erano lucidissime. Emergevano per le difformità superficiali, soprattutto nella zona inferiore, numerose ed ampie stuccature a piastrone, lisce e debordanti sulla pittura orginale.

Nell’altare, il dipinto era sistemato in modo alquanto precario: il lato inferiore era appoggiato su due pile di mattoni nascoste da un elemento ligneo di realizzazione recente; in alto la tela era legata da una parte ad uno dei capitelli dell’altare con del filo di ferro avvolto attorno ad un chiodo infisso dal davanti e dall’altra trattenuto da un cuneo ligneo infilato tra la superficie dipinta e l’altro capitello.

Perimetralmente, come cornice, una semplice bacchetta stondata moderna, inchiodata direttamente dal davanti e interrotta in corrispondenza della sporgenza dei capitelli. In una vecchia fotografia di metà Ottocento (L’immagine, tratta da P. SELVATICO – V. LAZARI, Guida di Venezia, Venezia 1852 è riportata da M.G.Sarti, op.cit. a pag 149) che ritrae il dipinto all’interno dell’altare, l’opera è invece racchiusa in una cornice dorata e intagliata più ricca (simile a quella del dipinto di Palma collocato sull’altare opposto) purtroppo andata perduta. La centina del dipinto, nella foto, non coincide con quella dell’altare, la tela sembrerebbe appoggiata più in basso. Forse le dimensioni della tela erano state ridotte nei restauri precedenti o forse già mancava un elemento di appoggio, una sorta di predella poi sostituita in epoca recente con l’attuale sistemazione. Non avendo smontato la tela dall’attuale telaio, verosimilmente quello realizzato dal Pelliccioli nel 1959, non è stato possibile verificare se il dipinto in basso fosse stato ridotto di dimensioni. Questa ipotesi non è tuttavia da escludere anche perché osservando la radiografia non si notano le tipiche deformazioni a festone che solitamente si creano a seguito della trazione esercitata dai chiodi. È anche vero però che la zona inferiore ha molto sofferto e che della tela originale possiamo oggi osservare solamente l’impronta sulla preparazione. Se tuttavia confrontiamo il nostro dipinto con quello conservato all’Escorial e con l’incisione di Cornelis Cort, vediamo che il gomito del braccio destro della figura che attizza il fuoco è tagliato.

Per rimuovere l’opera dalla sua sede è stato necessario l’intervento di una squadra di restauratori specializzati coadiuvati da alcuni operatori della ditta di trasporti che hanno provveduto a rimuovere gli elementi bloccanti e a sfilarla facendola ruotare verso il basso. Il dipinto è stato quindi imballato e chiuso in una cassa, caricato su un’apposita imbarcazione per il trasporto in laguna e successivamente su un camion per essere trasferito in laboratorio.. Qui, è stato sottoposto ad un’accurata osservazione su fronte e retro, a luce normale e radente e ad una prima serie di indagini strumentali non invasive a luce ultravioletta, all’infrarosso digitale, all’infrarosso a falso colore. Sono state inoltre eseguite riflettografie in I.R. a diverse lunghezze d’onda (Sono state impiegate: videocamera HAMAMATSU C 2400-03 d, tubo VIDICON con risposta spettrale da 400 a 2200 nm e filtro addizionale I.R. e una telecamera NIR 1000. ) , analisi con Fluorescenza a raggi X, alcune osservazioni della morfologia dell’impasto pittorico e della crettatura con videomicroscopio a fibre ottiche ed anche un esame radiografico digitale ad alta definizione dell’intera superficie che ha richiesto ben 108 esposizioni e il successivo assemblaggio delle immagini con apposito software. Tali indagini hanno confermato le sofferenze narrate dai documenti evidenziando numerosi danni diffusi alla pellicola pittorica, lunghe lacerazioni, ampie cadute di colore e abrasioni, soprattutto localizzate nella parte inferiore del dipinto. L’esame a luce ultravioletta, eseguito prima del restauro, metteva in evidenza solamente le riprese più recenti presenti al di sopra di uno spesso e disomogeneo strato di vernice fluorescente. Si notavano in alcune zone aree con fluorescenza più rossastra, ad esempio in basso in corrispondenza del fuoco, aree che si sono poi rivelate rifacimenti piuttosto antichi. Questo tipo di analisi è stato ripetuto molte volte nel corso della pulitura ed è stato un’utilissima guida per riconoscere le varie stesure sovrapposte e rispettare integralmente l’originale.

È stato molto interessante osservare con l’infrarosso l’intera superficie dipinta, lavorando con strumentazioni diverse, sia in analogico, che in digitale a diverse profondità. È stata eseguita una riflettografia a scansione con sensore InGaAs (L’esame riflettografico a scansione con sensore InGaAs è stato eseguito da Art-Test, Firenze. ) ad altissima definizione per cercare di comprendere meglio nella zona centrale i numerosi pentimenti e varianti, che tuttavia, per le caratteristiche cromatiche e materiche del dipinto si sono rivelati di difficile interpretazione. Quelli più significativi rilevati con questo tipo di indagine interessano la gamba e il piede destro di San Lorenzo, progettati in posizione più arretrata il volto del personaggio in piedi con in mano un fascio di legna, sulla sinistra, prima pensato di spalle con il volto di profilo, la mano sinistra dell’uomo che attizza il fuoco a sinistra in primo piano, ruotata di posizione, pentimenti portati a vista da vecchie puliture drastiche che erano stati velati nei precedenti restauri e che sono tornati più visibili dopo la pulitura. Nel quarto superiore destro della pala, l’infrarosso ha evidenziato un disegno tracciato in nero con una diversa impostazione architettonica. Alcune varianti significative nella composizione sono state invece evidenziate dall’esame radiografico (L’esame radiografico è stato eseguito con sistema digitale ad alta definizione DURR HD – CR 35 NDT. ) in corrispondenza dell’architettura nella zona centrale e sul lato destro. Al centro, dietro alle due figure in piedi in secondo piano, l’Artista aveva inizialmente previsto un colonnato sormontato da una trabeazione; poco più in basso, appena al di sotto della figura seduta sembrerebbe di vedere un’altra figura più grande, rivolta verso lo spettatore e con il braccio destro disteso. In alto a destra, grossomodo all’altezza della fiaccola tenuta in mano dalla figuretta sullo sfondo, a seguire la stessa prospettiva dell’architettura dipinta, erano stati impostati quattro elementi architettonici curvi. Anche l’elmo del soldato di spalle sulla destra, in radiografia sembrerebbe avere una forma un pò diversa. Ancora più in alto si nota una sottile pennellata di biacca perfettamente orizzontale che termina sulla sinistra con un profilo di capitello, anch’esso sottolineato con biacca. Tale elemento sembra estraneo ad entrambe le composizioni, quella appena descritta e l’immagine visibile. Nella parte centrale più in basso emergono numerosi tratti radiopachi difficili da interpretare, forse abbozzi di altre figure o parti di architetture.

Il basamento e la statua dipinti nella versione definitiva a fare da quinta alla scena erano stati invece prima pensati poco più a destra, spostati più indietro in secondo piano e pertanto abbozzati di dimensioni più ridotte. L’indagine radiografica è stata soprattutto fondamentale per la conoscenza delle reali condizioni conservative del dipinto prima del restauro ed ha fornito una mappatura molto precisa dei numerosi danni presenti. L’indagine ha rivelato però, allo stesso tempo, una buona compattezza materica nelle parti originali sopravvissute, evidenziando su gran parte della superficie ancora l’impronta ad andamento diagonale della tela originaria, facendo da subito ben sperare in un soddisfacente recupero della cromia originale al di sotto delle varie riprese. L’infrarosso a falsi colori ha fornito alcune indicazioni ottiche sui pigmenti utilizzati; lo studio dei pigmenti è stato approfondito con XRF (Fluorescenza a Raggi X) ed anche attraverso alcune analisi micro-stratigrafiche (Le analisi sono state eseguite in cross-section abbinate a Microscopia SEM – EDS )

Sulla tavolozza dell’Artista, molti pigmenti a base di piombo (bianco di piombo, minio, giallo di piombo), pigmenti blu e verdi a base di rame (come azzurrite, malachite) terre (terra d’ombra, ocra rossa, ocra gialla), vermiglione (cinabro), smaltino, blu di lapislazzuli, nero carbone e lacca rossa. Le analisi eseguite per l’individuazione dei leganti (Le analisi dei leganti e dei materiali organici sono state eseguite mediante Spettroscopia FT – IR e Pirolisi in Gas Cromatografia accoppiata a Spettrometria di Massa. ) e dei materiali organici hanno rilevato segnali associabili all’uso di una tecnica ad olio da parte dell’artista. La vernice protettiva è indicativamente di tipo oleoresinoso ed è caratterizzata dalla presenza di una resina diterpenica (resine tipicamente derivate dalle conifere, come la colofonia). In molte zone brune del fondo come per esempio dietro al capo della figura che sorregge San Lorenzo, o dietro alla figura del santo, si nota un evidente allargamento del cretto.. È probabile che il fenomeno sia dovuto a un difetto di tecnica esecutiva, forse ulteriormente aggravato dall’esposizione a eccessivo calore a seguito delle vecchie foderature. In queste zone le analisi hanno riscontrato olio con tracce di cera, anche se non si può escludere la presenza di bitume. Questi materiali instabili potrebbero essere la causa del precoce degrado cui l’opera è andata incontro. Dal punto di vista conservativo la foderatura eseguita dal Pelliccioli nel 1959 è ancora perfettamente funzionale. Si è quindi scelto, effettuate le necessarie verifiche, di non intervenire sul retro, salvo che per una pulizia generale ed un trattamento antitarlo sul telaio.

La pulitura del dipinto è stata condotta in più fasi e con materiali diversi messi a punto sulla base di una serie di test preliminari condotti insieme alla Direzione operativa. I depositi di polvere e sporco generico sono stati asportati con un tensioattivo non ionico in soluzione molto diluita. Attraverso altri test seguiti da alcuni saggi più estesi è stata messa a punto la miscela di solventi organici più idonea in grado di asportare la vernice superficiale e i ritocchi recenti. Dopo un prima fase di studio, di analisi e una prima pulitura il dipinto è stato trasferito ad Alba presso la sede della banca dove è rimasto esposto per alcuni mesi. Considerate le dimensioni, la movimentazione della tela e l’ingresso nei locali espositivi ha comportato qualche difficoltà e la necessità di utilizzare una gru per far entrare il dipinto attraverso il tetto. L’opera è stata sollevata all’interno della cassa di protezione almeno una ventina di metri e traslata di un isolato poi fatta scendere nella sala espositiva attraverso la vetrata a soffitto (Le difficoltà sono state brillantemente superate grazie alla professionalità del gruista incaricato dalla banca guidato dal Dott.  Battaglino (a cui non chiederò i danni per aver aumentato il numero dei miei capelli bianchi per l’ansia sopportata in tale frangente. ).

Dopo la mostra l’opera è ritornata in laboratorio per proseguire la pulitura sull’intera superficie. L’intervento è stato condotto controllando le fluorescenze a luce UV e osservando le caratteristiche morfologiche di riprese, vernici, stuccature e naturalmente dell’impasto pittorico originale con videomicroscopio a fibre ottiche valutando la macinatura dei pigmenti e l’andamento della crettatura. Terminata questa seconda fase sono state eseguite alcune campionature più in profondità, per poter asportare anche lo sporco, le colle, le patinature eseguite in passato. Sono state testate diverse soluzioni addensate variate nel pH. È stato applicato a pennello sulla superficie dipinta (a piccole zone) dapprima un gel basico a pH8, massaggiato per qualche secondo, poi rimosso con un tampone asciutto e quindi sciacquato prima con una soluzione idroalcolica e successivamente con una miscela di solventi più volatile. L’ultima fase ha previsto l’applicazione di un altro gel a pH neutro rimosso con tampone asciutto e infine sciacquato con la stessa miscela di solventi volatili. Sono state eseguite in contemporanea alcune analisi chimiche di controllo sui tamponi utilizzati per la pulitura. È stata asportata una spessa patina bruna di sporco, colla e sostanze estranee e anche un velo di stucco marrone ampiamente debordato sull’originale, steso per colmare i cretti aperti sui bruni. Nella zona centrale, sulle architetture del fondo, essendo presenti abrasioni particolarmente profonde, si è preferito conservare alcune velature di ripresa. Analogamente si è deciso di conservare il rifacimento in corrispondenza della firma riproposta su alcune tracce originali di lettere dipinte in grigio difficilmente individuabili se non a luce radente e con un forte ingrandimento ed anche due rifacimenti antichi in corrispondenza delle fiamme in basso al di sotto dei quali non è più presente l’originale di Tiziano. La pulitura è stata molto laboriosa e ha richiesto tempi lunghissimi, ma ha riportato in luce numerosi particolari prima offuscati. Lo sfondo ha acquistato profondità e trasparenza, sono riaffiorate pennellate di luce, tocchi di colore e vibranti sottolineature scure sui contorni. Sul cielo il fumo grigio delle torce ha evidenziato per contrasto i comignoli scuri dell’architettura ed è divenuta più visibile la figura al balcone. Sulla sinistra in basso è riemerso il volto di un personaggio con un turbante sul capo prima praticamente illeggibile. I particolari dei volti, gli incarnati hanno ripreso profondità recuperando i delicati passaggi di tono dati dalle pennellate guizzanti che prima erano state esageratamente reintegrate con un generale effetto di appiattimento, si veda per esempio il volto di San Lorenzo o quello del personaggio alle sue spalle. Sono stati recuperati i toni brillanti e vivaci della veste verde di Querino, il bambino accanto a San Lorenzo, figlio della committente. Purtroppo oggi, in alcune zone, non possiamo più avere la giusta percezione cromatica a causa di alterazioni purtroppo irreversibili. Le vesti del personaggio che sorregge San Lorenzo e quella del carnefice sulla destra per esempio che oggi appaiono di un tono grigio bruno ocra erano state dipinte di colore blu; lo smaltino utilizzato come pigmento ha purtroppo perso colore. Naturalmente, a seguito dell’asporto dei rifacimenti sono riaffiorati anche i vecchi danni, già peraltro riscontrati attraverso le indagini strumentali. Sono tornate a vista le numerose stuccature, di cinque tipi e colori diversi, stese nei precedenti interventi. In alcune zone, al di sotto delle stratificazioni più recenti, è emersa una stuccatura che molto probabilmente risale all’intervento più antico; essa porta infatti l’impronta diagonale della tela originale ed è pertanto precedente all’intervento di trasposizione del colore. I dati relativi alle stuccature sono stati registrati graficamente, oltre che naturalmente documentati attraverso macrofotografie. Anche l’eliminazione a bisturi degli stucchi debordanti ha richiesto molte ore di lavoro; alcuni di natura gessosa erano più facili da delaminare altri invece erano, durissimi, a biacca in legante oleoso. La loro eliminazione ha però permesso di riscoprire piccole porzioni di cromia originale prima nascosta. Il risarcimento dello strato preparatorio, visto il numero e l’estensione delle cadute di preparazione e cromia è stato piuttosto laborioso, eseguito con uno stucco tradizionale composto da gesso di Bologna, colla di coniglio a cui sono state aggiunte terre naturali fino a raggiungere un tono bruno compatibile con la mestica del dipinto. Su una prima stesura di base sono state riproposte a punta di pennello con uno stucco molto fluido, l’andamento delle pennellate imitando le irregolarità e le caratteristiche della superficie. Per la verniciatura sono state eseguite molte prove con vernici naturali e sintetiche preparate in vari tipi e miscele di solventi. Era infatti necessario, per una lettura ottimale, trovare una vernice che saturasse la superficie dipinta esaltando ciò che la pulitura aveva riportato in luce, evitando tuttavia un effetto troppo lucido. A causa delle vicende conservative di cui era stato protagonista, il dipinto mostrava zone più aride e molto assorbenti accanto ad altre più sane e compatte, ferite e lacerazioni con deformazione delle zone circostanti, crettature aperte, stuccature. Per ottenere l’effetto voluto si è reso necessario l’utilizzo di due vernici diverse: su una base eseguita con resina mastice ovviamente addizionata di filtro anti UV per un migliore invecchiamento è stato sovrapposto un velo di vernice a base di resina sintetica (urea-aldeide) ad elevata resistenza all’ingiallimento. Anche la reintegrazione delle mancanze ha richiesto moltissime ore di lavoro e un minuzioso intervento di ricucitura eseguito nel totale rispetto di ogni più piccolo frammento di originale. Si è prestata particolare attenzione a non alterare la freschezza dei tocchi di Tiziano, preferendo in alcuni casi un sottotono piuttosto che forzare il completamento di una pennellata interrotta. Si è lavorato in più riprese, con colori a vernice facilmente reversibili, più a velatura che a corpo. Nelle mancanze più estese e dove era necessario interpretare l’andamento del disegno la reintegrazione è stata eseguita in tono evidenziando la parte ricostruita con un sottile tratteggio verticale.

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