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SABAUDI nel fortino della crisi

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IRES Come da tre anni a questa parte, giornalisti, politici e analisti confluiscono nel salone rosso del Teatro regio di Torino sapendo che, dopo due ore, ne usciranno arricchiti da nuove consapevolezze. I numeri non definiscono la felicità delle persone, ma servono per dissipare la confusione: perciò l’Ires Piemonte ha presentato il rapporto sulla situazione economica e sociale della Regione. I dati medi farebbero presumere la fine dell’incubo recessionale. Come hanno spiegato i ricercatori, il 2011 si è caratterizzato per una debole crescita del Prodotto interno lordo (+0,7 per cento, mentre in Italia si attesta su un +0,4 per cento), i consumi risultano sostanzialmente fermi (con un +0,3 per cento, in linea col dato nazionale), le esportazioni aumentano del 7,4 per cento (+6,9 per cento in Italia), l’occupazione pure (+1,2 per cento, con 23 mila occupati in più), la disoccupazione è stabile (al 7,6 per cento, con 3.000 disoccupati in più), la disoccupazione giovanile scende (dal 26,6 per cento al 25,1 per cento). È il riscatto tanto atteso?

 Secondo i ricercatori Ires, i dati medi sono fuorvianti. Il 2011 va infatti diviso in due: debole ripresa nella prima parte, nuova e aspra crisi nella seconda. Ad esempio, la produzione industriale – uno degli indicatori più sensibili dell’andamento del ciclo economico – è scesa nell’ultimo trimestre dello 0,4 per cento. Pure il trend sul mercato del lavoro è negativo: tra ottobre e dicembre 2011 i disoccupati maschi crescono del 13 per cento. Il ricorso alla cassa integrazione resta molto elevato: quando cesserà il suo effetto, assicurano i ricercatori, ci saranno ripercussioni sulla disoccupazione. La “bestia” della crisi appare dunque imprevedibile, indomabile. La situazione nazionale odierna, con lo spread vicino ai 500 punti, conferma la visione. I fantasmi della finanza ancora infestano il castello della vita collettiva.

Sulla qualità della vita, ovvero le percezioni “soggettive” che i cittadini hanno rispetto alle condizioni di vita, le percentuali sono desolanti. La situazione economica dell’Italia nell’ultimo anno secondo l’82 per cento dei piemontesi è peggiorata. La condizione finanziaria delle famiglie è stazionaria per il 48 per cento dei piemontesi (43 per cento gli stranieri). I bilanci domestici migliorano per il 3 per cento dei sabaudi (1 per cento gli stranieri), mentre il 49 per cento denuncia un peggioramento (56 per cento gli stranieri). Sono le persone nelle classi 45-54 anni e 55-64 anni le più colpite. La difficoltà a trovare lavoro è il primo problema per il 45 per cento dei piemontesi e il 54 per cento degli stranieri. La soddisfazione per i servizi vede un lieve calo, più accentuato per sanità e sicurezza.

La trappola congiunturale è riconosciuta dal presidente della Regione Roberto Cota, intervenuto al convegno Ires: «Negli ultimi mesi c’è stato un incremento dell’occupazione, perché la Regione è corsa ai ripari con interventi straordinari. Ma, tra la fine dell’anno e l’inizio del 2012, a causa di scelte sbagliate fatte dal Governo, abbiamo subìto una situazione molto grave, con un aumento vertiginoso della disoccupazione e con una crisi del nostro sistema produttivo». Cota si riferisce, parlando di «scelte sbagliate», all’eccessiva pressione fiscale sulle imprese. Cosa che impedisce la crescita e anzi causa una vertiginosa “decrescita”.

Matteo Viberti

Ecco le strategie per provare a uscire dal pantano

Importante è capire l’auto-rappresentazione dei cittadini: il futuro sarà condizionato dal loro approccio psicologico. Sull’avvenire economico dell’Italia il campione dei piemontesi si divide in tre: il 34 per cento ipotizza un miglioramento, un analogo 34 per cento un peggioramento e un ulteriore 26 per cento immagina una stasi. Tre eserciti distinti, con caratteristiche curiose. A prevedere una situazione di peggioramento sono soprattutto i piemontesi tra i 34 e i 44 anni (45 per cento), mentre tra i più giovani la metà prevede un miglioramento. Rispetto al futuro economico dell’Italia gli stranieri vedono meno rosa dei piemontesi. In questo caso a parlare di miglioramento è un complessivo 8 per cento, mentre la metà pensa a un declino: la situazione che l’immigrazione è costretta a subire, sia sul fronte pratico che psicologico, è drammaticamente confermata.

Per scongiurare questi scenari di disfatta, Enzo Risso, presidente di Ires Piemonte, con i suoi ricercatori ha proposto alcuni rimedi fondamentali. Ad esempio, ha spiegato il team di ricerca durante il convegno torinese, «per migliorare le nostre esistenze sarà necessario pensare alla riorganizzazione amministrativa degli enti locali, alla diffusione delle nuove tecnologie, alla cooperazione istituzionale. Ma anche ad azioni per il risparmio energetico degli edifici, alla razionalizzazione degli insediamenti per ridurre il consumo di territorio, a progettare sistemi tariffari innovativi nei servizi pubblici, puntando con coraggio verso politiche industriali e sociali green».

Ecologia e semplificazione, dunque. Eppure, per il 2012 (e anche il 2013) la regione appare condizionata da forze “superiori” e indipendenti dalla volontà dei politici e dei piemontesi. «Il quadro presenta elementi di perdurante incertezza, dovuta al rallentamento dell’economia mondiale e all’andamento recessivo previsto nell’Unione europea. Senza contare il rischio di tensioni finanziarie, che possono innescarsi nell’area euro e che potrebbero aggravare l’impatto sull’economia reale. Infine il commercio mondiale, che potrebbe risultare meno espansivo del previsto, anche per il rallentamento delle economie emergenti e per un possibile inasprirsi delle tensioni sul mercato dei prodotti energetici».

m.v.

Cuneesi sempre primi della classe

L’INTERVISTA Parliamo con Maurizio Maggi, uno dei ricercatori di Ires Piemonte, che ha curato il rapporto statistico sull’economia regionale (vedi anche gli altri articoli). La situazione cuneese sembra divergere dal resto della geografia regionale: più occupazione ed esportazione (soprattutto Oltreoceano) contribuiscono a rafforzare l’affidabilità dell’imprenditoria locale.

Come se la cava la provincia di Cuneo a livello economico, Maggi? «Cuneo si conferma la provincia meno sensibile alla crisi iniziata nel 2008: la fase discendente è risultata attutita rispetto al resto della regione (nel 2009 la produzione industriale cadeva del 9,4 per cento, a fronte del 15,4 della media piemontese) e negli anni successivi la dinamica positiva è risultata tale da consentire un quasi completo recupero dei livelli pre-crisi del 2008. Su due aree la provincia dimostra però risultati preoccupanti: è troppo alta l’incidentalità stradale e troppo basso il livello di istruzione. Quest’ultimo dato può essere spiegato con il fatto che, a Cuneo, è parecchio sviluppata la formazione professionale, grazie alla presenza capillare di piccole e medie imprese che ricercano talenti più pratici che teorici».

Molti ritengono che a Cuneo le cose vadano meglio che altrove. Ottimismo o ragionevole buonsenso? «L’occupazione nella provincia ha avuto un andamento moderatamente espansivo (+0,5 per cento), determinato da una forte contrazione occupazionale nell’agricoltura, una situazione di stallo nelcomparto delle costruzioni e una consistente ripresa nel manifatturiero (+9,2 per cento). Se si tiene conto della diminuzione delle richieste di cassa integrazione (-21,2 per cento, primato in Piemonte), la crescita occupazionale della provincia si attesta all’1,5 per cento. Il tasso di disoccupazione cresce invece di alcuni decimi di punto».

La situazione sembra abbastanza positiva. Eppure, in un tale momento, dove trova la provincia le forze per continuare a “volare alto”? «Una risposta potrebbe nascondersi nelle esportazioni. La buona crescita sui mercati europei (+9,6 per cento) non si è discostata da quella sui mercati extraeuropei (+10,1 per cento). Sull’Europa le esportazioni della Granda si distinguono per un buon andamento sul mercato francese (+15,6 per cento), ma anche sui mercati tedesco, spagnolo e inglese, per citare i principali. Da rilevare, anche nel 2011, la sostenuta domanda proveniente da Usa (+29 per cento) e Russia (+55 per cento). Crescono in misura rilevante le esportazioni sia nell’area asiatica (un poco meno tonico il contributo della Cina, solo +4,8 per cento), sia latino-americana e africana; restano stazionarie nell’area medio-orientale».

m.v.

foto Corbis

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