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Collisioni «Abbia una vita lunga e prospera»

Il concerto di Patti Smith visto dalla terrazza dei Marchesi di Barolo, con le colline intorno e il castello sullo sfondo. Il pubblico che assiste, attento, partecipe, a tratti emozionato, all’incontro con Patti Smith, che racconta di Bob Dylan, del presidente Obama, di Piero della Francesca, dei suoi giorni a bordo della Costa Concordia. Il fiume di gente che dalla piazza rinominata “Blu” che se ne va, ordinato ed entusiasta, sul luogo dell’incontro con Luciana Littizzetto. Le bancarelle colorate, i ragazzi che suonano di fronte all’ingresso del castello, spesso sorprendentemente bravi.

La quarta edizione di Collisioni lascia in tutti quelli che vi hanno partecipato una serie di immagini potenti, idee forti che andranno digerite con calma. Queste sono le mie, le prime che risalgono in superficie, e ciascuno avrà le sue, se la festa ha occupato l’intero paese, e vedere tutto, seguire tutto, era fortunatamente e felicemente impossibile. Mi pare che la gente (ma quanti eravamo? Diecimila, ventimila alla volta?) si sia divertita a lasciarsi travolgere dagli eventi, essendosi resa ben presto conto che dominarli era impossibile. E questo è decisamente il più grande successo di Collisioni 2012, l’edizione che ha fatto il botto.

I giornalisti che l’hanno vista per la prima volta si chiedevano tutti come potesse stare in piedi una manifestazione così, nell’Italia della crisi che pensa solo e sempre a tagliare, soprattutto gli entusiasmi. Molti lo chiedevano a me, sperando che lo sapessi, ma naturalmente l’unica risposta possibile è che Filippo Taricco e i ragazzi che lavorano con lui sono bravi, e fanno miracoli. Qualche collega ha anche azzardato un paragone interessante, e probabilmente giusto, con il “Premio Tenco” degli inizi, quando l’energia di un gruppo raccolto intorno ad Amilcare Rambaldi e la passione evidente con cui quel gruppo organizzava la rassegna riuscivano ad arrivare a risultati impensabili per altri.

È la solita storia del calabrone che secondo la scienza non potrebbe volare, ma non lo sa, e vola tranquillamente da sempre. In realtà, credo di sapere quanto lavoro ci sia dietro, mesi e anni (di Patti Smith, Filippo mi parla da tre anni, di Bob Dylan da due): come sempre la perseveranza e la capacità di guardare lontano sono le doti che danno frutti migliori. Nato come un festival letterario con qualche appendice di spettacolo, Collisioni si è sbilanciato sempre più dalla parte della musica, trovando così uno spazio tutto suo in un ambito che è ormai nazionale.

Mi sono chiesto come sarebbe cambiata la mia vita se ad Alba, o nelle immediate vicinanze, fossero arrivati Bob Dylan e Patti Smith quando avevo diciott’anni e la musica rock, prima di diventare per me materia di lavoro, era ancora semplicemente la materia di cui erano fatti i sogni. Li avrei mitizzati di più o di meno, li avrei avvicinati o ne sarei stato lontano? Ma poi ho scacciato il pensiero, ho capito che i tempi sono definitivamente cambiati, come d’altra parte Dylan profetizza da decenni, e che per i ragazzi di oggi i miti non sono certo questi, sempre ammesso che ne abbiano.

Viviamo l’era dell’accesso allargato alle informazioni, oggi i dischi ti arrivano sul computer di casa, e Bob Dylan suona in piazza a Barolo. È meglio? È peggio? In generale non lo so, e forse non ha alcun senso chiederselo: certamente, per chi vive ad Alba, o a Barolo, è meglio che Collisioni ci sia, e che abbia vita lunga e prospera. E poi chi ci porterà l’anno prossimo? Bruce Springsteen? È bello pensare che tutte le strade ora sono aperte, e molte finiscono a Barolo.

Piero Negri Scaglione

Taricco: «Idee e progetti nuovi per il futuro»

Nonostante Barolo pulluli di malelingue, critiche e mormorii provinciali – che dipingono gli organizzatori di Collisioni come scaltri uomini d’affari – Filippo Taricco, direttore del festival, non esprime che passione e soddisfazione. «Il primo giorno, 10 mila persone; oggi – cioè domenica – circa 35 mila, i numeri parlano chiaro. Ci stiamo imponendo come uno dei migliori cinque festival italiani. Ma quel che più mi entusiasma è la soddisfazione del pubblico che viene da tutta Italia: qualsiasi fascia d’età può godere delle iniziative, dai bambini agli anziani. Significa che l’organizzazione sta compiendo un ottimo lavoro: i volontari sono stanchi sia per via dei lunghi turni di lavoro sia per il caldo, ma siamo una squadra, un vero e proprio equipaggio di professionisti. Sono contento di avere persone così fidate e volenterose al mio fianco».
Quali le previsioni per il futuro?
«Non so dire se Collisioni si terrà di nuovo a Barolo o se sarà itinerante. Da martedì cominceremo a progettare. Abbiamo nuove idee in cantiere, nuovi progetti, ma ancora nulla di definitivo. Spero il prossimo anno di poter assistere a una presentazione toccante come lo è stata quella di Don DeLillo. È strano constatare che l’alta letteratura raccolga più di tremila persone: il nostro pubblico è già diventato nazionale».

m.v.

Philippe Daverio «Unesco? Decorazione poco utile e consistente»

Philippe Daverio – giacca rosa, occhiali spessi e sigaretta di tabacco trinciato – si siede accanto a noi sulla terrazza di Barolo e sorride. Discute con tutti, sembra contento di farlo. Una cordialità che, accompagnata a un pensiero tridimensionale, capace di approfondimento teorico ma anche di duro realismo, diventa carisma. Oggi Daverio è considerato uno dei più grandi esperti italiani di arte. Anche conduttore televisivo e giornalista, è nato in Alsazia da padre italiano e madre alsaziana. Ha frequentato prima la Scuola europea di Varese, e poi studiato economia (ma non si è laureato) alla Bocconi di Milano. A proposito dice: «Sono arrivato in Italia nel ’68 per frequentare la Bocconi, e come tutti in quegli anni non mi sono laureato anche perché, allora, alla Bocconi non ci si andava per laurearsi, ma per studiare». Ha collaborato in passato con riviste come Panorama, Vogue e Liberal, ora collabora con Avvenire. Insegna disegno industriale all’Università di Palermo. Lo abbiamo incontrato domenica scorsa, prima del suo intervento nella “piazza Blu” di Collisioni, a Barolo.

Partiamo dal paesaggio. Che cosa pensa delle colline di Barolo? «Sono un esempio di armonia, di come l’uomo sappia abitare e allo stesso rispettare il paesaggio circostante. È l’esatto opposto dello scenario che ho appena visitato ad Alba. Un quartiere con i tetti blu: un esempio di obbrobrio architettonico».

In molti la pensano così. A proposito di estetica e ambiente: lo sa che i nostri territori sono appena stati esclusi dal riconoscimento Unesco di “patrimonio dell’umanità”? «L’Unesco serve a poco. Se ci pensiamo bene, tutta l’Italia dovrebbe essere candidata e riconosciuta come patrimonio Unesco. Siamo la culla dell’Occidente, ma troppo spesso ci piace “fare la coda” per ricevere onorificenze e decorazioni in fin dei conti poco utili o consistenti».

Passiamo all’arte in genere. Crede che il contesto sia favorevole per l’emersione di nuovi talenti e per l’evoluzione creativa? «Non credo proprio. Ci sono tre aree del lavoro e quindi della creatività: la prima è quella delle concessionarie, che non “producono” nulla, se non omologazione e consumismo. Poi c’è il mondo degli esercizi, come quelli commerciali: in questo “universo” la creatività è qualcosa di fondamentale alla sopravvivenza: se non sei creativo, soccombi alla concorrenza. Infine c’è la terza area, che è quella della musica, del teatro, delle arti visive. Questa ha, tra le altre cose, bisogno dello Stato per sussistere e crescere. Anche Michelangelo senza il supporto dello Stato non sarebbe diventato grande. Oggi purtroppo lo Stato se ne frega dell’arte e pure dei giovani. Lascia il via libera alle scorribande di pochi speculatori, che impongono il loro volere anche in campo artistico».

Quindi non crede nella possibilità di un riscatto? «Un riscatto potrebbe esserci se le classi più marginalizzate e penalizzate prendessero in mano il kalashnikov, in senso morale intendo. Ciò non accade, dunque ho poca fiducia in un riscatto imminente».

Matteo Viberti

Madaski: «Alcuni giovani meglio di Bob Dylan»

Il fondatore degli “Africa unite”

Tra il fiume di gente che sabato sera si gettava in piazza a Barolo per assistere al concerto dei Subsonica, abbiamo incontrato Madaski, tastierista, produttore discografico e fondatore degli Africa unite, rinomato gruppo reggae pinerolese, che dagli anni ’80 si esibisce in tutta Italia. Prima di salire sul palco per esibirsi con i suoi “colleghi”, ci ha concesso un’intervista.

L’anno scorso hai suonato a Novello. Quali differenze noti in Collisioni?  «Il festival è in continua crescita. Di anno in anno mi sembra di avvertire costante evoluzione artistica e musicale – gli ospiti sono in grado di offrire davvero molto; a giudicare dall’affluenza di pubblico, la gente sa avvertire l’opportunità di crescere. In una realtà come le Langhe, come il Piemonte di provincia, Collisioni rappresenta qualcosa di prezioso. Oltre alla locazione, penso sia davvero migliorato per quanto riguarda l’organizzazione».

Pensi che ci possano essere opportunità per i giovani nel mondo della musica italiana?  «Il mondo della musica offre davvero poche opportunità ai giovani. Bob Dylan, per esempio – che secondo la mia opinione non è mai stato musicalmente degno di nota – trova ancora oggi molto più spazio rispetto ad alcuni gruppi emergenti underground più meritevoli dal punto di vista musicale. In ogni caso credere in se stessi resta una prerogativa fondamentale».

mar.vi.

Niccolò Ammaniti e l’intensità dei suoi  racconti a Barolo

La presentazione di “Un momento delicato”

Intensità. È la parola per descrivere la sensazione che ognuno ha avvertito su di sé dopo avere ascoltato uno dei più celebri scrittori italiani leggere un suo racconto. Dopo l’introspettiva conferenza, durante la quale si è parlato di famiglia, letteratura e nuovi progetti, abbiamo incontrato Niccolò Ammaniti.

La letteratura in Italia si può definire viva?  «Assolutamente sì. Non è vero che il mondo della letteratura è morto. Da sempre l’Italia abbonda di scrittori talentuosi. E occorre ricordare che gli editori hanno influenza solo in parte sulla carriera di chi scrive. Si comportano bene, se notano buona volontà e impegno».

Quali impressioni ti sta lasciando Collisioni?  «È un festival unico. È strutturato in maniera eccellente, in ogni suo particolare si sente passione. Pur partecipando come ospite d’onore, mi entusiasmo nel leggere i nomi dei grandi scrittori invitati a intervenire. È l’alta qualità della musica e della letteratura che crea sinergia. Mi piace inoltre l’idea del paese arroccato e protetto, è tutto molto suggestivo».

mar.vi.

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