IL GEOLOGO. Parliamo con Francesco Panero: ha 30 anni ed è nato ad Alba. Geologo professionista, si è laureato all’Università di Torino e ora ha uno studio nel cuneese. Con lui abbiamo cercato di capire che cosa sia accaduto in Emilia: vittime, catastrofi edilizie, fratture nel mondo della produzione e dell’arte, una frustata morale ed emotiva, una specie di metafora in un Paese travagliato.
Che cos’è accaduto in Emilia, Panero? «L’Emilia Romagna è stata colpita da due eventi sismici, avvertiti dai sismografi di tutta Italia: il primo, il 20 maggio, è stato caratterizzato da forti scosse, la maggiore delle quali si è verificata attorno alle 4 del mattino, con epicentro a Finale Emilia, a 6.3 Km di profondità e di magnitudo 6.0 secondo la scala Richter. L’energia sprigionata è stata superiore a quella della prima bomba atomica. Il secondo, databile al 29 maggio, è stato poco meno intenso del primo in quanto la scossa più forte, registrata alle 9 del mattino e con epicentro compreso tra i paesi di Mirandola, Medolla e San Felice sul Panaro, ha avuto una magnitudo di 5.8, di poco inferiore a quella registrata a Finale. Queste scosse sono state seguite da uno sciame sismico con scosse di magnitudo inferiore. Le scosse registrate dal 20 maggio siano state più di 500. Inizialmente si pensava che il secondo evento sismico fosse un assestamento del primo; secondo le ultime ipotesi dell’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia è possibile invece che i due eventi siano indipendenti, in quanto il secondo potrebbe essere scaturito dall’apertura di una nuova faglia».
La vibrazione è stata tanto forte che pure da noi è stata percepita. Quale il rischio del cuneese? «In provincia di Cuneo i Comuni più a rischio sono quelli localizzati nelle vallate alpine, in particolar modo nel settore compreso tra il Colle di Tenda e le Valli del pinerolese, tant’è vero che si parla di “arco sismico piemontese”. In questi settori sono stati registrati moltissimi eventi sismici di media e bassa entità. Le zone di pianura e quelle collinari – Alba, ad esempio – si possono al momento considerare le più “tranquille”. I terremoti più recenti con epicentro in provincia di Cuneo sono stati registrati il 24 ottobre 2008, di magnitudo 4.1. Sisma che non ha provocato, fortunatamente, nessun danno. Poi il 19 aprile 2009 in prossimità di Bra, un terremoto di magnitudo 3.9».
In futuro è possibile che eventi simili si ripetano, qui da noi? «È difficile prevedere con precisione quando avverranno nuove scosse sismiche e di quale entità saranno anche se, basandosi sui dati storici, si possono escludere eventi distruttivi come quelli che hanno recentemente colpito l’Abruzzo e l’Emilia Romagna. Dal punto di vista della sicurezza, dal momento che è impossibile contrastare un evento sismico, l’unica misura che possiamo adottare per evitare che si ripeta il disastro umano, economico e culturale dell’Emilia è la prevenzione nella costruzione degli edifici, che devono essere realizzati secondo le più recenti normative antisismiche».
A proposito di sicurezza. Quali sono i punti deboli, le strutture più a rischio per la nostra zona? «La sicurezza degli edifici è soggetta sia alle condizioni del terreno sui cui poggiano sia al modo in cui sono costruiti. Le strutture meno recenti, realizzate in muratura portante, sono quelle più a rischio di crollo in caso di un evento sismico di magnitudo significativa. Non a caso gli edifici maggiormente danneggiati in Emilia sono quelli storici, realizzati in muratura portante. Gli edifici più recenti vengono invece costruiti tenendo conto delle normative antisismiche nazionali, in genere con pilastri portanti e solette in cemento armato con armatura in ferro. Un edificio costruito secondo criteri antisismici può essere danneggiato ma non subire il crollo, salvando molte vite».
Quale movimento profondo della terra può causare un simile stravolgimento? Che cosa avviene prima che si scateni un terremoto? «L’origine degli eventi sismici che hanno colpito l’Emilia Romagna e che hanno in passato interessato altre regioni d’Italia è di tipo tettonico, ed è in particolare da ricercarsi nella spinta della placca africana contro quella euroasiatica. Il limite delle due placche si trova lungo tutto il mar Mediterraneo, passando a Sud della Sicilia. In conseguenza di tale spinta si hanno gli Appennini che “viaggiano” in direzione delle Alpi. Lo scontro accumula energia che, liberandosi, dà origine a scosse di terremoto. Come conseguenza di tale spinta la placca si frattura in diversi punti, creando vere e proprie spaccature, che i geologici chiamano “faglie tettoniche”: il movimento lungo tali zone di spaccatura genera le scosse, dando origine a un terremoto».
Matteo Viberti