Alicia Bartlett il primo (ultimo) racconto

La scrittrice spagnola ha presentato ad Alba con Margherita Oggero il racconto d’esordio, appena tradotto in italiano da Sellerio

Avolte il passato ritorna. Ad Alicia Gimenez Bartlett, giallista spagnola, giovedì scorso è toccato presentare la sua opera d’esordio (cioè un racconto pubblicato in Spagna ventotto anni or sono). Exit (appena uscito nella traduzione italiana per Sellerio) è il titolo che contiene in sé l’essenza del romanzo: in una casa di cura (senza malati) i protagonisti cercano una via di fuga, dal mondo e da loro stessi. Si tratta di un giallo, o meglio di un thriller vecchio stampo, giovane nel ritmo e nell’analisi psicologica dei personaggi. La vincitrice del premio Nadal è giunta in Italia – e ad Alba – per un tour promozionale che dovrebbe confermare il talento già affermato nella penisola iberica da circa vent’anni. In occasione della conferenza animata dalla presenza di Margherita Oggero per Collisioni, Bartlett si è dimostrata disponibile nel rispondere alle domande di Gazzetta.

Che ruolo ha il libro negli anni zero zero?

 «Nel passato la letteratura conservava un’influenza sociale – una forza – potentissima. Tuttavia il mondo contemporaneo verte maggiormente sull’individuo. Ecco il motivo per cui oggi i libri agiscono e modificano in maggior misura il singolo soggetto. Resto convinta nell’affermare che la sensibilità delle persone muti in relazione alle letture intraprese».

Che cosa significa scrivere secondo Alicia Bartlett?

«Ogni volta che smetto di inventare storie, anche solo per pochi giorni, sento che qualcosa dentro me viene a mancare. La scrittura è il mestiere che svolgo da quando sono una ragazza: carta e penna rappresentano la normalità. Eppure non trovo motivazioni metafisiche per descrivere la mia pulsione creativa. Senza dubbio l’isolamento è l’elemento utile per ottenere buoni risultati; prima di divenire autrice a tutti gli effetti insegnavo spagnolo. Ero abituata al chiasso caloroso degli studenti. Poi, tutt’a un tratto, mi sono trovata a far fronte alla freddezza della solitudine. Ma amo scrivere e l’amore è la sola prerogativa che un buono scrittore deve possedere».

Quale giudizio formulerebbe riguardo all’ascesa della letteratura “gialla” scandinava?

«I gialli e i giallisti scandinavi rappresentano una moda. Non nego che tra questi autori spicchino personalità meritevoli, ma la maggior parte equivale a un semplice numero. Questo processo di commercializzazione mi rammarica, perché danneggia le altre letterature. I romanzi mitteleuropei, per esempio, vengono oscurati in modo progressivo».

Parliamo del suo ultimo-primo libro, Exit: cosa l’ha spinta a scegliere un’ambientazione extra cittadina?

«Il mio obiettivo è consistito nel rapportare il carattere individuale con la psicologia di gruppo. Ho voluto alienare i personaggi da qualsiasi contesto sociale, al fine di rendere più efficace il mio intento. Nella storia gioca un ruolo fondamentale la psicanalisi, materia rivoluzionaria soprattutto per il periodo della mia infanzia e giovinezza. Invito chiunque nella propria quotidianità ad affrontare tale materia. Occorrerebbe sedersi a un tavolo, durante il pomeriggio e chiacchierare a proposito dei segreti della propria mente».

mar.vi.

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