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Davide Longo e il cinema di lavoro

Cinque film, per parlare di lavoro durante la crisi è la scelta di Davide Longo, scrittore, autore per la radio e per il teatro, insegnante della scuola Holden di Torino, sceneggiatore carmagnolese: l’artista sarà il curatore del cineforum organizzato dalla fondazione E. di Mirafiore di Fontanafredda: introdurrà i film con una breve lezione e parteciperà al dibattito che seguirà la proiezione. Longo è reduce dalla pubblicazione del suo nono libro, Ballata di un amore italiano, edito da Feltrinelli nel 2011.

Davide, con quale criterio hai scelto i film in programma a Fontanafredda?

«Ho cercato di scegliere film che trattassero del lavoro in maniera non convenzionale: niente che riguardasse i classici temi della fabbrica o dell’ufficio, nulla a che fare col mobbing, per intenderci. Il mio obiettivo consiste nel prendere in considerazione una dimensione più ampia della vita lavorativa. I film in programma parleranno di famiglia e socialità, per intendere il lavoro come veicolo, come un fenomeno che va al di là delle dinamiche economiche. È importante in questo periodo confrontarsi sul tema del lavoro, problematica che affligge l’Italia».

Credi che esista un legame tra l’universo cinematografico e letterario?

«Il legame è molto stretto; dagli anni ’30 ogni scrittore nella sua opera ha tenuto molto in considerazione il mondo del cinema; inequivocabilmente, io stesso sono nato come sceneggiatore e tuttora me ne occupo. Nel mio lavoro di scrittore (pur considerando più ampie le possibilità creative offerte dalla narrativa) i film rappresentano un importante modello narrativo. E spesso, insegnando scrittura ai ragazzi, utilizzo modelli cinematografici per rendere più chiara la comprensione».

Quest’anno si celebra il cinquantesimo anniversario della morte di Beppe Fenoglio; che cosa ha significato per te lo scrittore albese?

«Beppe Fenoglio è stato uno dei pochi scrittori che ho letto all’età di sedici e diciassette anni. In quegli anni ho scoperto la meraviglia e il godimento che si provava esplorando i suoi libri. È stato il mio modello letterario principale; sono intervenuto in diverse conferenze per parlare di lui e nonostante non abbia avuto l’onore di conoscerlo, possiedo dimestichezza con i suoi libri e con la sua storia. Consiglio vivamente ai giovani scrittori di possedere lo stesso atteggiamento dimostrato da Fenoglio nei confronti del proprio lavoro: intendo un forte attaccamento alla terra, al territorio e all’esperienza, fuso con un interesse rivolto ad altre realtà: nel caso dello scrittore albese si parla di influenze derivanti dalla letteratura inglese e dalla forza del radicamento alle Langhe».

La rassegna cinematografica (tutti i mercoledì alle 21) prenderà il via il 30 gennaio con Departures, film di Yojiro Takita. Premiato nel 2009 con l’Oscar come miglior film in lingua straniera, racconta le vicende di un giovane violoncellista che, perso il lavoro nell’orchestra di cui faceva parte, si ritira con la moglie nel villaggio natale, dove stringerà una bizzarra amicizia con l’eccentrico becchino locale. Grazie a questo incontro scoprirà di non avere forse i numeri per diventare un grande violoncellista, ma di essere dotato di un talento altrettanto prezioso e del tutto inaspettato. Un film per riflettere sul lavoro come strumento per conferire dignità ai momenti più drammatici e definitivi dell’esistenza, per riconoscere i legami tra lavoro e rito, tra lavoro e tradizione. Seguiranno: il 6 febbraio la proiezione Dell’arte della guerra, documentario di Silvia Luzi e Luca Bellino; il 13 febbraio Another year, di Mike Leigh; il 20 febbraio verrà proiettato Essere e avere di Nicolas Philibert. L’ultimo incontro è in programma il 27 febbraio con Caramel, di Nadine Labaki.

Marco Viberti

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