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Il riformismo di Keynes e di Sel non sono la soluzione

Con l’inizio del nuovo anno le notizie sulla crisi economica italiana non portano segnali positivi. Non si tratta di pessimismo, ma di statistiche che l’Istat riporta: aumento drammatico della disoccupazione nel 2012; 2 giovani su 3 sono senza lavoro in Italia; vendite di automobili calate del 19,9% rispetto all’anno precedente tornando a livelli che non si vedevano dal 1979. I dati non sono positivi nemmeno nel settore del commercio nazionale dove la Confcommercio dice che il calo nel mese di novembre 2012 è del 2,9% rispetto a novembre 2011. Cosa dire poi della classifica dei più ricchi al mondo di Bloomberg uscita poco prima del periodo natalizio? Beh, la classifica dice che i 100 uomini più ricchi del mondo sono arrivati nel 2012 con un patrimonio personale a 1.900 miliardi di dollari, ben 241 miliardi in più rispetto all’anno precedente. Solo 16 delle 100 persone più ricche del mondo hanno mostrato nello stesso anno un patrimonio in flessione.

È che chiaro che i dati della crisi e la crisi stessa meritano un’attenta lettura politica come dice Livio Berardo di Sel in una sua recente descrizione del momento storico italiano. Io aggiungo anche che meritano un’attenta lettura facendo riferimento al marxismo-leninismo (cioè le teorie del comunismo scritte da Marx, Engels, e Lenin) come scienza politica e socio-economica utile all’analisi della crisi del momento. Berardo, a ragione, smentisce le bugie delle possibili “soluzioni alla crisi” che in passato venivano dal fascistissimo Mussolini e oggi dai suoi nostalgici; dal populismo destroide di Belusconi; dal fascismo mascherato da regionalismo e razzismo della Lega Nord dei continui scandali politici; dall’attuale rappresentante del capitalismo internazionale Mario Monti.

Secondo un’analisi marxista-leninista è evidente che il modello di sviluppo e di produzione del capitalismo sono oggi la vera causa della crisi. Una crisi che spreme sempre più chi vive di lavoro dipendente, di reddito da pensione, piccoli commercianti, artigiani, e che concentra profitti sempre maggiori nelle mani di pochi. Le innovazioni tecnologiche non servono ad alleviare la fatica di chi lavora, ma ad aumentare lo sfruttamento del lavoro, e a ridurre il benessere anziché aumentarlo.

La soluzione alla crisi non può essere il “luddismo”, ossia il rifiuto del progresso scientifico e tecnologico, che nel mondo di oggi significherebbe la catastrofe economica. Ma neanche la “decrescita” risolverebbe i problemi dell’economia perché, in un sistema di mercato, ridurrebbe ancora di più il reddito della piccola borghesia e delle classi basse. Infine, il problema non è neanche di distribuzione: non è tassando maggiormente i ricchi e distribuendo ai poveri che si può spezzare il circolo vizioso dell’ingiustizia economica. Primo, perché i ricchi non lo permettono mai in modo pacifico; secondo, perché dopo una prima divisione equa della ricchezza, il ciclo si riproduce uguale a se stesso, con gli stessi vizi. Perciò, non sono le elemosine che fanno di un essere umano un uomo con la sua dignità, ma è il lavoro che dà dignità alle persone.

Berardo parla allora di politiche keynesiane (cioè di riformismo e di socialdemocrazia) a livello europeo, e di alunni del britannico John Maynard Keynes. Oggi, il marxismo-leninismo, come scienza, dimostra facilmente come il sistema capitalistico sia entrato in una fase di crisi che non sembra neanche più ciclica, e quindi anche i pannicelli caldi keynesiani non possono funzionare più. Infatti non basta più aumentare la spesa pubblica, perché questa fa aumentare i profitti con una forma di redistribuzione dai poveri verso i ricchi, aumentando le imposte (pagate dai soliti noti), e creando opere che non producono nuova ricchezza (Tav, inceneritori, eccetera), non generano plusvalore, perché non aumentano il mercato dei beni e dei servizi, ma incrementano solo il settore protetto pubblico, quello delle grandi opere, e quello militare. In altre parole, il riformismo che Sel, Pd, e Rivoluzione civile degli arancioni (finti comunisti) non serve a risolvere la crisi di sovrapproduzione capitalistica ma solo a generare momentanei fenomeni che non fanno calare i profitti del capitale.

L’unica soluzione è capovolgere, rivoluzionare il sistema di produzione. Non produrre “merci” che devono essere vendute sul mercato generando profitto, ma produrre “beni” che hanno un’utilità sociale per tutti prevista e programmata a livello centrale. Questo si chiama semplicemente marxismo-leninismo, cioè comunismo. La capacità produttiva che ha il nostro Paese è tale che potremmo lavorare tutti per quattro ore al giorno per vent’anni e produrre molto di più di quello che serve oggi a tutta la popolazione. Perché non si fa? Perché così non si generano profitti e non si alimenta quel gigantesco gioco che si svolge nei computer delle banche, che si chiama capitalismo, che sta portando i paesi e i popoli alla rovina. L’unica alternativa all’economia di mercato e del denaro a tutti i costi è proprio l’economia pianificata dei piani quinquennali di Josif Stalin che hanno permesso all’Unione Sovietica, grazie all’accumulazione collettiva, la trasformazione di un popolo di 160 milioni di contadini poveri e analfabeti in un popolo di scienziati, ingegneri, professori, medici, tecnici capaci di vincere Hitler e Mussolini, di difendersi dal capitalismo Usa e Ue dopo la 2ª guerra mondiale, e di competere nella sfida spaziale. Una storia grande, la storia del Movimento comunista internazionale, dalla Rivoluzione d’ottobre a oggi. Molti sono quelli che hanno correlato la fine dell’Urss (battuta all’interno dal revisionismo e dalla sfida produttiva e all’esterno dalla corruzione dell’imperialismo) a un ipotetico fallimento della più grande ideologia della storia, senza capire che si trattava di un primo esperimento che può essere certo ricostruito.

 

Alain Fissore,
Comunisti Sinistra Popolare
Partito Comunista

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