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L’agricoltura cerca GIOVANI

CLAVESANA L’agricoltura perde addetti e fatica a trovare i giovani. Quello lanciato dal convegno “Da terra marginale a terra originale”, promosso venerdì scorso dalla Cantina Clavesana in frazione Surie, assomiglia molto a un grido d’allarme. In Germania più dellametà degli agricoltori ha meno di 35 anni, mentre in Italia i giovani contadini sono la minoranza. Paola Migliorini, ricercatrice all’Università di scienze gastronomiche di Pollenzo, ha sottolineato che ogni dieci anni in Italia si perde il 30 per cento delle aziende agricole. Una perdita che avviene in silenzio, senza il clamore che accompagna la chiusura di una fabbrica. In provincia di Cuneo la situazione è meno grave rispetto ad altre parti d’Italia, ma anche da noi la superficie agricola e le aziende stanno diminuendo, come hanno confermato i dati del censimento di cui Gazzetta ha parlato a dicembre.

Per fotografare la situazione, durante il convegno sono state usate espressioni come “diaspora contadina” (Piercarlo Grimaldi, rettore dell’Ateneo di Pollenzo) o “strage silenziosa” (Stefano Tesi, presidente dell’Associazione stampa agroalimentare della Toscana). Eloquenti anche le parole di Furio Venarucci, vicepresidente della Confederazione italiana liberi agricoltori: «Ci stiamo mangiando il patrimonio dei nostri nonni. L’agricoltura non fa più economia ed è stata sottovalutata dalla politica. Il settore si è depauperato. I dati ufficiali parlano di 1 milione e 630 mila aziende agricole in Italia, ma in realtà non ci sono. Oltre 800 mila sono sotto i due ettari e sono condotte da gente che fa altro. Gli agricoltori professionisti sono 350 mila». Anche la direttrice della Cantina Clavesana Anna Bracco ha segnalato il difficile ricambio generazionale nel settore: «Diciassette aziende nostre associate chiuderanno entro cinque anni perché i titolari sono anziani e non hanno eredi. Sono aziende molto piccole, 25 ettari in tutto, ma che fine faranno questi vigneti? Speriamo che qualche giovane sia interessato».

Le soluzioni al problema le ha illustrate Fabio Palladino, del “Mercato dei contadini delle Langhe”, associazione composta da 30 agricoltori di 15 Comuni, che da aprile a dicembre, due volte al mese, propone i propri prodotti a Dogliani. «La marginalità va ribaltata, si deve cambiare prospettiva. Sarebbe bello trovare cartelli che indicano le zone agricole e non solo le aree industriali, nelle quali tra l’altro ci sono anche molti capannoni vuoti. Si devono creare le condizioni affinché si possa investire in una zona come questa, ricca di prodotti e di biodiversità», ha affermato Palladino suggerendo anche alcune “ricette”. «Fermiamo l’erosione agricola, non continuiamo a edificare, recuperiamo gli incolti dandoli ai giovani, impariamo a consumare prodotti locali e semplifichiamo le procedure per avviare un’attività».

Il tema della biodiversità contrapposta alla monocoltura è stato toccato più volte nel corso della giornata. «Meglio la monocoltura o l’abbandono? », ha chiesto (e si è chiesto) Stefano Tesi. «Il paesaggio più brutto che ho visto lungo la strada è quello della zona del Barolo. Non c’è biodiversità. Solo filari», ha dichiarato il professor Grimaldi. Di diversa opinione un viticoltore doglianese, che, lontano dal palco, in una pausa del convegno, ha inquadrato la questione con poche parole: «Ho 40 giornate di Dolcetto, ma sarebbe meglio averne 5 di Nebbiolo».

Corrado Olocco

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