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Perché il Papa lascia?

Il 4 gennaio nel duomo di Alba una Messa in suffragio di papa Benedetto XVI

È innegabile che la notizia delle “dimissioni” di Benedetto XVI ci sia giunta inaspettata e ci abbia molto sorpresi. Non foss’altro perché da centinaia di anni non succedeva un fatto simile e perché il suo predecessore, il Beato Giovanni Paolo II, ha mantenuto il proprio posto in condizioni di salute ben peggiori. È naturale che allo stupore faccia seguito il desiderio di comprendere. Lo sapeva il Papa, che non ha nascosto le motivazioni: l’età, la salute, la mole dei problemi cui stare dietro, che richiedono ben diverso vigore. Che non sia una decisione improvvisata, ma che nasca da una lunga meditazione e che sia dettata solo dal bene della Chiesa, lo lasciava già intendere l’intervista pubblicata nel 2010 nel libro “Luce del mondo”, del giornalista Peter Seewald, in cui Benedetto XVI affermava: «Quando un papa giunge alla chiara consapevolezza di non essere più in grado fisicamente, mentalmente e spiritualmente di svolgere l’incarico affidatogli, allora ha il diritto e in talune circostanze anche il dovere di dimettersi».

Possiamo lasciarci convincere da questi motivi, o mantenere le nostre riserve. A qualche considerazione tuttavia non possiamo sottrarci. A partire dal temperamento di papa Ratzinger, che fin dall’inizio ha dovuto fare i conti con la difficile successione a un uomo carismatico come Karol Wojtyla. Saggiamente egli non ha voluto imitare a ogni costo il suo predecessore: ha scelto un profilo decisamente più modesto, uno stile sobrio. Ciò non gli ha impedito di evidenziare con fermezza alcuni punti dottrinali da lui ritenuti irrinunciabili, specie nel dialogo – più spesso nel confronto anche serrato – con la cultura contemporanea e quelle che egli considerava le sue “derive”.

In più occasioni si è trovato nel bel mezzo di burrasche sia interne alla Chiesa, sia nei rapporti con le religioni e il mondo, che certamente lo hanno provato come uomo e come credente. Forse proprio queste questioni, molte delle quali tutt’altro che superate, fanno parte della rosa dei problemi per i quali sente di non avere più le forze sufficienti.

In una società che esalta i vincitori e disprezza i rinunciatari e i vinti, nel bel mezzo di una campagna elettorale ingombra di tutt’altro che arrendevoli concorrenti, le “dimissioni” di papa Benedetto si presentano come un gesto del tutto fuori moda, ma persino profetico e rivoluzionario, e pertanto chiede di essere letto in profondità, ma anche con semplicità. La profondità addita il coraggio che certamente esso ha richiesto e che lo mette al sicuro dal severo giudizio riservato da Dante al dimissionario Celestino V, «che fece per viltade il gran rifiuto»: solo una persona sommamente umile e libera poteva ammettere con tanta franchezza la propria inadeguatezza al compito intrapreso quasi otto anni prima. La semplicità ci induce a guardare a un uomo forse troppo solo, certo anziano e acciaccato, che non nasconde i propri limiti dietro penosi “ceroni”, ma li ammette davanti al mondo, accettando di farsi solidale con tutte le persone della terza e oggi anche quarta età, alle prese con quotidiane, quelle sì penose, emergenze di vario tipo.

Sì, papa Benedetto è, come molti suoi coetanei, un uomo debilitato, stanco e probabilmente non in buona salute. Che cosa c’è di più saggio e umano, in queste condizioni, che farsi da parte e lasciare ad altri di continuare a portare più adeguatamente il peso dei problemi della Chiesa e del mondo? E non è ravvisabile, in tanta saggezza e umanità, una sostanziale coerenza con il Vangelo e un profondo amore per la Chiesa, che abbisogna di una guida vigorosa?

Se un certo modo di fare, se certe prese di posizione hanno indotto a ritenere papa Ratzinger un uomo freddo, distaccato, tutto assorbito da studi teorici, la sua decisione di dimettersi ci spalanca un’umanità fragile e indifesa che ci piace e ce lo fa sentire vicino e amico. A maggior ragione per il fatto che egli, pur senza più essere vescovo di Roma e pastore universale, continuerà, a titolo personale e con la generosità che gli riconosciamo, a portare nella preghiera le sorti della Chiesa e del mondo. Infatti ha scelto per sé la tranquillità di una clausura fatta sì di riposo, ma riempito di meditazione e preghiera. Non avremo due Papi, ma certo potremo contare su un “ex papa” che non smetterà di pregare per tutti gli uomini, anche per noi. E a noi non sarà difficile ricordarlo, per ringraziare il Signore che ci ha dato in Benedetto XVI una guida umile e sicura in anni burrascosi e con lui implorare un successore che sia autentico uomo di Dio, capace di interpretare i bisogni della Chiesa e dell’umanità e di servirli con sapienza e generosità.

+ Giacomo Lanzetti, vescovo di Alba

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