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10 MILA stranieri sui banchi

La provincia di Cuneo si candida come «campione di multiculturalità». Secondo lo studio presentato dalla fondazione Cassa di risparmio di Cuneo il 9 marzo, sono circa diecimila gli studenti stranieri nella Granda. La loro incidenza sulla popolazione scolastica è superiore alla media italiana: nell’anno scolastico 2011-2012, il numero di stranieri ammontava a 9.536, su un totale di 67.106. Il 19,6 per cento – circa 1.800 ragazzi – è iscritto in istituti nell’albese. Nella scuola dell’infanzia il 20,8 per cento degli alunni è di origine straniera (anche se quasi l’80 per cento di essi sono nati in Italia), contro un dato nazionale del 9,2 per cento. In pratica, più del doppio. Significa che il cuneese, sia grazie alla sua capacità di resistere alla crisi, sia all’atteggiamento dei cittadini, si configura come «calamita» per l’immigrazione. Proseguendo nell’analisi – allo studio hanno aderito il 90 per cento delle scuole – emerge come nelle materne ed elementari gli stranieri raggiungano il 16 per cento del totale (contro il 9,5 a livello nazionale), nelle medie sfiorino il 14 (contro il 9,3), e nelle superiori scendano all’8,4 per cento (contro il 6,2). Elevato il numero di allievi con cittadinanza non italiana arrivati in provincia nell’ultimo anno: 996, circa il dieci per cento del totale degli stranieri. Ad Alba oltre il 40 per cento è iscritto alla scuola dell’infanzia. Significa che le nuove generazioni di stranieri, tra qualche anno, determineranno gli equilibri demografici, sociali ed economici del territorio. Per quanto riguarda le nazionalità, nella Granda la predominanza di alunni è albanese, con 2.486 unità. Seguono la marocchina (2.239), romena (1.805), macedone (633) e cinese (531). Lo studio registra 98 differenti provenienze. I dati problematici riguardano i risultati scolastici degli alunni stranieri: si registrano circa 600 alunni ritirati nel corso del primo anno – la metà nella scuola secondaria di primo grado – e il dieci per cento in meno di promozioni alle classi o agli ordini scolastici superiori rispetto ai coetanei italiani. Una dinamica che la dice lunga sul grado di integrazione. Lo scenario futuro è imprevedibile. Secondo la statistica Noi Italia (curata dall’Istituto nazionale di statistica), che Gazzetta sta raccontando da un mese a questa parte, nell’area cuneese il tasso di crescita dell’immigrazione negli ultimi dieci anni ha registrato un incremento del 208 per cento. Se gli ingressi dovessero proseguire su questa progressione, l’identità locale andrà incontro a un destino di progressiva trasformazione.

Matteo Viberti

Le mille storie a lieto fine

«Ciao sono X, ho 17 anni, sono un ragazzo simpatico, socievole e divertente. Sono di carnagione scura. Mi piace un sacco suonare la batteria […] adesso finalmente, dopo anni che chiedo ai miei a farmi suonare, finalmente li ho convinti. Suono da quasi un anno: il mio batterista dice che sono proprio bravo e questo per me vuol dire molto, perché purtroppo quando ero piccolo ho avuto un piccolo incidente che mi ha fatto stare sulla carr o z z i n a che uso a n c o r a adesso, ma non o – stante questo impedimento io vado dritto sulla mia strada con la voglia di suonare sempre e di migliorarmi ogni giorno». Sono le parole che un ragazzo di 17 anni, studente albese, ha postato su Facebook come autopresentazione. Il messaggio racchiude molteplici verità, prima su tutte il ruolo che il riconoscimento esterno, da parte dell’ambiente sociale, può esercitare sulla formazione di una identità. Il contesto è zeppo di storie il cui realizzarsi è stato reso possibile da un attorno che dalla diversità ricava semi di crescita. Un romeno circense che scappa dal suo Paese durante il regime di Ceausescu, arriva a Piobesi dopo infinite peregrinazioni e mette su famiglia. Un americano che, in Cina, incontra la sua futura moglie e si trasferisce a Montà, dove ha una cascina enorme e tre figlie con grandi progetti di vita e arte. Il figlio di un giocatore di basket che abitava al confine tra Albania e Macedonia: dopo aver frequentato le scuole di mezza Europa arriva ad Alba, impara l’italiano e diventa punto di riferimento per il suo gruppo di almeno venti amici. Un bosniaco di Sarajevo, costretto a scappare all’età di quattro anni dalla sua città assediata dai serbi: ora vuole fare lo scrittore e vive nei pressi di Alba. La storia di un albanese di 38 anni, che approda in Italia quando ne aveva 25, senza un soldo o prospettiva. Costretto a dormire sotto le stelle per una settimana, a campare di stenti ed espedienti, oggi gestisce un’impresa agricola vicino a Cuneo, dà lavoro ad altre cinque persone e ha profitti per mantenere sua moglie e i suoi due figli. Queste sono alcune delle storie dal lieto fine.

L’identità è ciò che vogliamo diventare

Patrizia Scanu, psicologa, insegna scienze sociali al liceo Leonardo da Vinci di Alba. La sua esperienza professionale le consente un’analisi della multiculturalità.

Cosa significa vivere a contatto con culture diverse?

«Rappresenta una sfida e un’occasione di arricchimento reciproco. Una sfida, perché il diverso richiede sforzo di comprensione e una relativizzazione delle proprie convinzioni. Un arricchimento, perché si diventa meno provinciali e più consapevoli delle culture altre nel cibo, nelle credenze, nelle tradizioni, nelle relazioni interpersonali. I ragazzi italiani, se non hanno genitori che alimentano pregiudizi etnici, non danno molta importanza all’origine straniera dei coetanei. La maggior parte di loro sono ragazzi e basta. Sono spesso gli adulti a creare barriere. E i ragazzi stranieri cresciuti in Italia si sentono anche italiani, direi al 50 per cento. Ma in una ricerca condotta dai nostri allievi qualche anno fa, abbiamo riscontrato marcate differenze nei ragazzi di diversi istituti superiori, alcuni più marcatamente ostili agli stranieri».

Il ruolo di stereotipi, pregiudizi, discriminazione. Qual è il processo psicologico sotteso ai “fantasmi sociali”, Scanu?

«Gli stereotipi sono meccanismi ineliminabili della nostra mente: ci aiutano a semplificare la realtà, ma la distorcono pure. In molte ricerche risulta che le persone hanno stereotipi anche verso i popoli mai conosciuti o inesistenti… È una tentazione irresistibile! I pregiudizi invece sono atteggiamenti di simpatia o antipatia verso certi gruppi sociali, atteggiamenti che nascono dalla percezione di sé come membri di un gruppo diverso e migliore. Di qui si innesca un processo pericoloso di antipatia e discriminazione verso il diverso non in quanto individuo, ma in quanto membro appartenente a un gruppo percepito come estraneo. È un’assurdità. Nella nostra scuola si insegna ai ragazzi quanto siano pericolosi i pregiudizi, perché legittimano la violenza e l’esclusione».

Ha incontrato sovente atteggiamenti razzisti?

«Poco, per quanto essi esistano e non vadano sottovalutati. Anche nella diffidenza che spesso la diversità culturale suscita, Alba mi sembra abbastanza accogliente. Nelle scuole si fa un buon lavoro di integrazione interculturale. Il bilinguismo o il trilinguismo dei ragazzi stranieri è una risorsa per tutti gli studenti e uno strumento di integrazione per le famiglie straniere. La riflessione sull’identità culturale è illuminante in tal senso. Spesso si pensa che l’identità consista in qualcosa che sta alle nostre spalle, come un’eredità a cui dobbiamo essere fedeli. L’antropologia, invece, suggerisce che l’identità è qualcosa che sta davanti a noi, è ciò che vogliamo diventare. Questo ci rende liberi, e infligge un duro colpo al razzismo e a tutti i suoi derivati».

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