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Bre spiega la perdita 2012 e rilancia per il 2013

L’INTERVISTA L’espansione in Liguria e gli accompagnamenti al pensionamento: l’ultimo trimestre del 2012 è stato particolare per la Banca regionale europea che a inizio marzo ha approvato il bilancio con una perdita di 26,5 milioni di euro. Abbiamo incontrato il direttore generale della banca, Riccardo Barbarini che ricopre tale incarico dal febbraio dello scorso anno.

Che anno è stato il 2012 per la Bre?

«Un anno particolare che ha visto la banca impegnata in due operazioni straordinarie, le quali hanno comportato costi per circa 37 milioni di euro e hanno fatto registrare un risultato negativo».

Ci può spiegare?

«Nell’ultimo trimestre si è completata l’operazione di integrazione del Banco di San Giorgio, banca ligure che era già controllata da Bre: dal 2001 ne detenevamo il 57%. Oltre ai 2,5 milioni necessari per l’integrazione dei sistemi informatici dall’operazione sono derivati 22 milioni di svalutazione dei crediti immobiliari. Si tratta di una operazione straordinaria che tiene conto della forte penalizzazione a cui è stato sottoposto il mercato immobiliare, specie in riviera, dove il mercato delle seconde case e l’edilizia sono praticamente fermi».

C’è stato anche un taglio agli organici di Bre?

«83 dipendenti hanno aderito alla proposta di prepensionamento. Si tratta di un ampio accordo sindacale, concordato dall’intero gruppo Ubi e firmato da tutte le sigle meno una. In un primo tempo si pensava a 57 prepensionamenti, poi il Consiglio di amministrazione ha accolto tutte le domande presentate dei dipendenti e sono stati quindi inseriti nel bilancio i 12,7 milioni di euro necessari per accompagnare verso la pensione quei dipendenti nell’arco dei prossimi quattro anni».

Non si potevano dilazionare nel tempo tali costi straordinari?

«Bre banca preferisce, da sempre, conteggiare subito tutti i costi e i ricavi straordinari. In questo caso l’impatto è forte sul bilancio 2012 ma i benefìci si vedono già e nei primi mesi di quest’anno i conti sono tornati a essere positivi. Non dimentichiamo che fino a settembre 2012, prima delle operazioni straordinarie, l’utile provvisorio era di 20 milioni circa, in linea con gli anni più recenti. D’altro canto i 220 milioni di utili derivanti dalla cessione degli sportelli fuori dal Piemonte vennero tutti inseriti nel bilancio 2010».

Come ha influito la perdita sui rapporti con i clienti e con il territorio?

«I numeri prima di tutto vanno letti e spiegati, come abbiamo fatto. Poi bisogna aggiungere che Bre è una banca solida, che ha un patrimonio di 1,4 miliardi di euro, e la perdita – che deriva dalle due specifiche operazioni appena spiegate – rappresenta l’1,8% appena. Un dato che riassume bene tutto è l’indicatore Tier 1, che per Bre è del 23,97% ben al di sopra del 9% richiesto dagli organismi di controllo».

L’acquisizione del San Giorgio delinea sempre di più Bre come banca del Nord-Ovest ma, in epoca di globalizzazione, ha senso unacosì specifica conformazione territoriale?

«Siamo una banca italiana del territorio a tutti gli effetti. Supportiamo l’economia locale e aiutiamo la clientela. È determinante focalizzarsi su un territorio e vediamo che l’istituzione delle direzioni territoriali, come per l’albese, sta portando benefìci nei rapporti con i clienti. Oltre otto pratiche su dieci vengono definite, in fretta, a livello locale, senza la necessità dell’intervento della direzione generale: significa dare risposte rapide e flessibili alla clientela. Non vogliamo certo chiuderci solo su Piemonte e Liguria: negli ultimi tempi, infatti, abbiamo rafforzato la nostra struttura di supporto ai clienti che lavorano con l’estero».

Aziende e famiglie lamentano una rigidità del sistema bancario per quanto riguarda la concessione di mutui in questo periodo di crisi…

«I dati della Banca d’Italia parlano di un calo dei mutui erogati tra il 40 e il 50 per cento in tutto il Paese e a livello di gruppo Ubi le statistiche sono in linea con quelle nazionali. Non abbiamo mai fatto mancare il supporto ai clienti ma abbiamo notato che è la domanda ad aver subìto un forte calo. Una rondine non fa primavera ma nelle ultime settimane cominciamo a vedere qualche nuova richiesta di finanziamento per investimenti produttivi».

E la situazione albese?

«La città e il territorio sono frizzanti, ma qualche sintomo è arrivato anche qui. Parlando soprattutto con gli imprenditori locali vedo, però, molta capacità di reagire in fretta, cercando nuove esportazioni e nuovi mercati oltre confine, ad esempio».

Che cosa serve, però, per avere solide prospettive di ripresa, Barbarini?

«È fondamentale che la pubblica Amministrazione sblocchi, finalmente, i crediti e paghi i suoi fornitori. Se ne sta parlando ed è un’opportunità che non deve essere persa. Lo Stato, nel suo complesso, deve alle imprese 60 miliardi di euro: saldare i debiti e riversare al Paese tale cifra sarebbe il migliore impulso alla ripartenza di un sistema che sta languendo. Lo Stato dia le risorse dovute, poi la gente e le aziende sapranno rimboccarsi le maniche e trovare le soluzioni migliori. Al contrario, continuare a bloccare o anche solo ritardare i pagamenti mette a rischio interi settori economici e in Piemonte ne abbiamo l’esempio con la sanità e la socioassistenza ».

Quanto influisce, invece, la situazione politica?

«Sono uomo di finanza, inserito in una istituzione finanziaria e non voglio commentare la situazione. L’unica cosa certa è che un Paese in crisi deve avere un governo stabile per non essere preda della speculazione».

In questi giorni sta facendo scalpore la situazione di Cipro. L’Italia può esserne toccata?

«L’Italia non è Cipro e non è neppure la Spagna, l’Irlanda o la Grecia. Sono tutte situazioni diverse tra loro e con origini differenti. L’Italia, anche in crisi, resta la settimaottava economia mondiale e il secondo sistema industriale, dopo la Germania, d’Europa. Cipro, invece, è una economia piccola, basti pensare che si parla di circa 60 miliardi di depositi bancari; il nostro gruppo Ubi, che è una tra le 5 banche più grandi d’Italia, ha una base di circa 90 miliardi di depositi. Credo che il problema di Cipro sia risolvibile dalla comunità europea, anzi, può essere un’occasione per tastare il polso alla capacità dell’Europa di agire in un contesto anche più ampio».

Giulio Segino

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