Concita De Gregorio: «In politica ha prevalso l’esigenza di controllo

Qualche capoverso letto da Io vi maledico, il suo ultimo libro (Einaudi, 2013) e poi Concita De Gregorio ha interloquito con il pubblico di Fontanafredda per quasi tre ore. La scrittrice e giornalista (direttrice de L’Unità dal 2008 al 2011) ha dipinto il ritratto di un’Italia in difficoltà: politica, religione e disagio sociale, gli argomenti trattati.
Quanto influisce sull’andamento del Paese il lavoro della gente comune?
«Non voglio dar vita a un discorso demagogico, ma penso che occorra ringraziare le persone umili e invisibili, cioè coloro che ogni giorno – onestamente – portano a termine il proprio lavoro. È vero che deve esistere un grande condottiero, una persona che incarni un ideale; ma nel quotidiano si percepisce l’essenza del nostro Paese: gran parte dei cittadini lavora con passione, non solo per essere pagata, ma perché ama ciò che fa. La gente migliore è quella che conta meno, i peggiori quelli che contano di più; ecco il dramma italiano. Bisognerebbe invertire i fattori; nei luoghi di potere e di comando si trova una classe politica corrotta, nel pensiero e nell’azione. Che pensa che tutto si possa comprare».
La politica opera in conformità rispetto alle esigenze reali della popolazione?
«Il mio ruolo di giornalista è stato strategico: con un orecchio ascoltavo le piazze d’Italia occupate dal popolo viola, con l’altro rispondevo al responsabile di partito che mi consigliava di non inserire notizie riguardanti i movimenti spontanei sul giornale. Questo avveniva perché in politica ha prevalso l’esigenza di controllo su quella di consenso».
Per quale motivo gli elettori di sinistra hanno preferito Bersani a Renzi?
«Come cronista, ho seguito Matteo Renzi dal principio della sua carriera; ho trovato sorprendente il discorso all’auditorium di Roma; ma il Pd non ha mai smesso di essere l’unione dei Ds e dei popolari, ecco perché non è mai stato accettato da una parte della vecchia nomenklatura del partito: l’opposizione al sindaco di Firenze è interna al partito e viscerale».
La classe politica dovrebbe manifestare più attenzione nei confronti della cultura?
«L’Italia possiede i beni della storia e del sapere, della cultura; ecco perché gli investimenti per l’istruzione non rappresentano una spesa, contrariamente a quanto i politici affermano. Le forze impegnate nella cultura sono da considerare un investimento. Bisogna partire dal piccolo per cambiare: mi è capitato recentemente di firmare una petizione per il reinserimento della musica nelle scuole; mi sembra assurdo che, pur essendo l’italiano la lingua degli spartiti in tutto il mondo, qui non si studi la composizione. Dobbiamo puntare su ciò in cui siamo bravi, sulle nostre eccellenze».
Il prossimo appuntamento alla fondazione E. di Mirafiore sarà sabato 16 marzo alle 18.30: il giornalista e scrittore Michele Serra parlerà di “Ironia e autoironia oggi”.
mar.vi.

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