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David Riondino. «La discografia è finita, il talento no»

Poliedrico showman, attore, regista e cantautore – David Riondino ha celebrato la cultura montanara: nelle vesti di presentatore-protagonista l’artista fiorentino ha trascinato il pubblico del teatro Giorgio Busca nel vivo di L’alpe e il sogno: lo spettacolo, presentato da Terra amata (manifestazione conclusiva della mostra Alpi dell’arte ospitata in San Domenico), è una fusione di cinema, musica e recitazione. Dalla recita diretta da Sandro Gastinelli emerge la volontà di attualizzare e caricaturare l’immaginario alpino.

Che rapporto sente di avere con la montagna?

«Credo che le montagne non siano più le stesse di un tempo. Ma amo passeggiare sulle alture, perdermi nelle altitudini – è una sensazione che evoca la solitudine. Camminando si crea un ritmo – è come se le endorfine si scatenassero e l’energia si muovesse: mi sento sollevato».

Come definiresti il cantautorato italiano contemporaneo?

«Esiste una nuova generazione di cantanti e cantautori giovani. Ma la discografia è finita, è stata mangiata dai computer e dalla comunicazione più radicale di iTunes o YouTube. Questa trasformazione costituisce insieme un pregio e un difetto. La rete rompe le gerarchie tradizionali dettate dalle case discografiche; ma il web fornisce una visibilità poco guidata, meno selettiva. I talenti non sono diminuiti: si sta ricreando una generazione di grandi autori, i quali hanno a che fare con un tipo di canzone più artigianale: si basa tutto sulla velocità; è un approccio meno carismatico dal punto di vista industriale. Oggi si possono registrare tre dischi in un anno, una canzone a settimana. Celentano per esempio ha composto una canzone della durata di una settimana, trasmessa via web, un pezzo estemporaneo. Si può osservare quanti cantanti collaborano a distanza. Io stesso sto sperimentando delle forme di “cantastoriato” alternativo: il progetto consiste nel musicare un fatto di cronaca o attualità settimanalmente».

Quindi un artista deve inventare per sopravvivere?

«Deve inventare e tenere presente che la canzone è uno strumento molto duttile, che fa parte della grande famiglia della scrittura. Per intenderci: il mondo della musica si era fermato nell’obbligatoria ritualità liturgica del disco registrato ogni due anni. Ora tutto sta cambiando: il cantante è tornato a essere senza lustrini un personaggio pop, che canta delle notizie, dotato di una voce particolare di un grande senso dell’armonia».

Marco Viberti

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