Quando Giulio Andreotti venne ad Alba per la Fiera

Giulio Andreotti in visita alla Fiera del tartufo bianco d’Alba nel 1989; al suo fianco l’onorevole Ettore Paganelli.

La morte di Giulio Andreotti, democristiano sette volte presidente del Consiglio, ha scatenato avvicendarsi di opinioni e aneddoti da parte di avversari e sostenitori. Raccontiamo il personaggio chiave della storia politica del mezzo secolo tra gli anni ’50 e il 2000 dando voce alla prospettiva di Ettore Paganelli, ex sindaco di Alba e uno dei pochi langaroli ad aver conosciuto “da vicino” il sette volte presidente del Consiglio.

Lei è stato sottosegretario durante il sesto e il settimo Governo Andreotti. Come ricorda il premier dal punto di vista “umano”?

«Era un uomo affabile. Ricordo che, per festeggiare il suo settantesimo compleanno, Andreotti scelse Alba. Quando arrivò gli raccontai della visita alla città di Aldo Moro, avvenuta nel ’67. In quell’occasione Moro fu acclamato dai cittadini, una giornata davvero trionfale. Andreotti mi confidò che capiva bene perché Moro fosse rimasto stupito e commosso dalla nostra città: disse che Alba era una realtà in rapida evoluzione, un luogo con un’identità capace di colpire chi, come lui, era abituato a vivere in una grande metropoli».

Giulio Andreotti in visita alla Fiera del tartufo bianco d’Alba nel 1989; al suo fianco l’onorevole Ettore Paganelli.

Potrebbe raccontare un aneddoto capace di “sintetizzare” la personalità di Andreotti?

«Nell’ultima settimana giornali e giornalisti hanno scritto parecchio sulla figura del presidente. Vorrei quindi raccontare qualcosa di diverso, un aneddoto trattato in parte dai libri di Paolo Borgna e Dino Sanlorenzo. Nel 1977 si svolgeva il processo torinese contro le Brigate rosse. Un momento molto delicato per il Paese. La giuria doveva essere costituita tramite l’estrazione dei nominativi di cittadini: eppure nessuno voleva essere scelto come giurato, presumibilmente a causa dei rischi che implicava un tale ruolo. I “sorteggiati” addussero le motivazioni più disparate per sottrarsi all’incarico, giustificandole anche con certificazioni mediche. Il processo, dunque, non poteva proseguire: la legge prevedeva un massimo di dieci estrazioni».

Che cosa accadde a quel punto?

«Una delegazione politica, tra cui il sottoscritto, si recò dal presidente del Consiglio, Giulio Andreotti. Volevamo sollecitare un intervento tempestivo: il processo doveva proseguire a ogni costo. A quel tempo ero vicepresidente del Consiglio regionale del Piemonte. Ci recammo a Roma ed esponemmo la gravità dell’impasse, illustrando anche le mosse “giuridiche” possibili. Dopo un periodo brevissimo di tempo, con prontezza e coraggio, Andreotti fece approvare un decreto legge che aboliva il limite delle dieci estrazioni. Il sorteggio per reperire i giurati sarebbe continuato fino alla composizione effettiva della giuria. Dopo ben 150 estrazioni, raggiungemmo l’obiettivo. La giuria fu composta e il processo poté iniziare».

m.v.

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