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La prigione di Ascanio Celestini

BAROLO Ascanio Celestini, comico satirico laziale, impegnato nel mondo della televisione, dei libri e del cinema, vuole trasportare i suoi lettori all’interno delle carcerci italiane. A Collisioni le sue letture musicate – per presentare “Pro Patria” – il suo nuovo libro edito da Einaudi – hanno sancito l’inizio del festival.

Ascanio, ha un aggettivo per la sua nuova creazione?
«Bellissima, ma sono di parte. È un racconto di un detenuto finito in carcere alla fine del secolo scorso – nel periodo del risorgimento anarchico e repubblicano. È anche un’occasione per parlare delle problematiche che avvolgono le carceri italiane. In alcune strutture i detenuti non hanno spazio per vivere: in otto in una cella, obbligati a restare in piedi».

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Come è stato concepito?
«Il libro è nato da un sentimento spontaneo. Credo che la scrittura non segua dinamiche razionali, ma sia frutto di un flusso che si riversa sul foglio. Spesso, durante la redazione del romanzo, non pensavo alla storia da scrivere. È come se un bagaglio di esperienze e di emozioni vissute si descrivesse e si diramasse da solo, la mia penna è stata solo un mezzo per esprimere qualcosa che già era scritto. È il racconto di un detenuto che finì in carcere alla fine del secolo scorso».

Come considera la situazione giovanile in Italia?
«
Non amo intendere i ragazzi come una categoria: quando avevo vent’anni odiavo la definizione “giovani”, mi balzava alla mente il concetto di élite e di circolo chiuso. Ma per rispondere alla domanda iniziale è utile raccontare una storia: quando ero giovane conobbi un clown, un ragazzo tedesco ancora oggi mio grande amico. Lui giunse con la sua compagnia in Italia, con trasporti di fortuna. Quando comprese come funzionava l’arte nel nostro paese, sussultò: per organizzare uno spettacolo occorreva aspettare il benestare del comune, montare il palco, pensare alle questioni burocratiche e alla fine rischiare di non essere pagato. Così funziona per un giovane: nonostante l’impegno, nonostante il talento, spesso non viene compensato a dovere. E come si fa a mangiare?».

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Prevale la libera informazione o la censura nella nostra nazione?
«Credo il rischio maggiore sia rappresentato dall’autocensura. Esiste una paura di fondo, creata dalle sovrastrutture, che blocca il giornalista, l’artista, il comico o lo scrittore. Si teme di ottenere meno di quello che già si guadagna, cioè di perdere il lavoro. Chi si occupa di informazione e di cultura dovrebbe agire libero da ogni influenza».

Marco Viberti

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