ITALIANI a New York

Manuela Anfosso ha incontrato giovani piemontesi che hanno trovato lavoro negli States

Quelli che stanno in America ma pensano all’Europa

new york

Stefania, 35 anni, si è laureata in lingue all’Università di Torino nel 2002 e vive a New York da appena sei mesi. «Faccio la cameriera a Little Italy e vivo a Chinatown. La mia casa, che condivido con il mio fidanzato americano, ha solo una camera da letto e un bagno, non ho la lavatrice e mangio nel ristorante in cui lavoro. L’affitto è meno caro rispetto agli altri quartieri di Manhattan, spendo 1.600 euro al mese e guadagno otto dollari all’ora, più le mance che mi vengono accreditate sullo stipendio. Scaduti i 90 giorni del visto turistico mi sono iscritta a una scuola di inglese per prolungare la mia permanenza negli Stati Uniti. Non ho progetti specifici, mi manca Torino, la mia città, la famiglia e gli amici ma non penso che tornerò. L’Italia ha spento tutti i miei desideri». _

Enrico, 33 anni, è un wine blogger, appassionato del Piemonte. Ha lavorato cinque anni come sommelier in Belgio e da quattro mesi vive a New York, in un piccolo appartamento che guarda Central park. «Mi sono trasferito a New York per amore. Sono nato da una famiglia contadina, in Belgio ho seguito il corso dell’Ais per diventare sommelier e l’America era una grande opportunità per me: potevo trasformare la mia passione per il vino in un mestiere. Ho ricevuto diverse proposte di lavoro in molti ristoranti, ma richiedevano una disponibilità di tredici ore giornaliere, scelta che avrebbe compromesso la mia vita privata. Ho deciso di aprire un blog per parlare del mondo dell’enogastronomia e in parte guadagno attraverso la pubblicità. L’America apprezza la cultura italiana, a ogni angolo c’è un enoteca,mail vino resta un bene di lusso. Non so dove vivrò tra cinque anni, ma spero di poter continuare a lavorare e parlare del mio Paese, l’Italia». _

Silvia, 31 anni, si è laureata in biologia a Torino. Oggi fa la ricercatrice al Mount Sinai hospital. «In Italia non ci sono stimoli, i ricercatori difficilmente percepiscono uno stipendio, non ci sono risorse finanziarie e gli strumenti di laboratorio sono arretrati. Mi pagano 2.500 dollari, vivo in un alloggio di proprietà della struttura sanitaria presso cui lavoro e questa mi copre l’80 per cento dell’assicurazione sanitaria. Ho un contratto di tre anni, poi dovrò lasciare gli Stati Uniti. Qui ho dieci giorni di ferie l’anno. Penso che tornerò in Europa, magari in Svizzera o in Olanda, dove lo stile di vita è più simile a quello italiano,masi offrono maggiori opportunità lavorative ».

m.a.

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