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Mario Valpreda, esempio di dirittura morale

Laureato in veterinaria a Torino nel 1961, in scienze politiche nel 1980, autore di 115 pubblicazioni scientifiche e professore a contratto all’Università di Torino, fu chiamato valpreda mario 11in Regione 23 anni fa. In corso Stati Uniti, sede della sanità pubblica, arrivava ogni mattina in treno da Balangero alle 6. Aveva le chiavi, apriva lui, come un usciere. «A quell’ora i telefoni non squillano e si lavora più sodo», diceva. E a quell’ora convocava anche i primari, nel suo ufficio al primo piano: «Così poi vanno in ospedale e i pazienti non aspettano».

Lo ha scritto sulla Stampa Marco Accossato, parlando di Mario Valpreda, l’ex assessore alla sanità della Regione, morto venerdì 26 luglio. Era stato colpito da un ictus nel 2007. In quell’ufficio della Direzione della sanità pubblica, in corso Stati Uniti, a Torino, lo avevo visto anch’io, sornione, tra le carte, accanto ai suoi collaboratori. C’ero andata un po’ timorosa e ne ero uscita rincuorata. Qualche settimana prima – era l’inizio del 2000 – avevo intervistato un allevatore, il quale aveva raccontato passo passo come si “gonfiavano” i vitelli con gli estrogeni acquistati sul mercato nero. La testimonianza, pubblicata su Gazzetta d’Alba, aveva scatenato le polemiche, con Asl, categorie e magistrati, tutti contro il giornale, invece che preoccupati per i danni alla salute prodotti dai disonesti, pochi o tanti che fossero.

Valpreda mi aveva accolta con il suo sorriso, rilasciando un’intervista netta, attraverso la quale – da direttore del Dipartimento di sanità della Regione – confermava l’esistenza di agricoltori più attenti al portafogli che al bene comune. Gli avevo detto: «Non mi aspettavo di sentire queste parole da lei». Mi aveva risposto di aver spiegato la questione. E, poi: «Mi vanto di riconoscere le persone oneste». Valpreda non mancò di presentarsi in tribunale, quando sotto processo, invece degli allevatori senza scrupoli, toccò a me e a Gazzetta andare. Da allora, periodicamente, si faceva vivo ad Alba. Quando fu nominato assessore alla sanità da Mercedes Bresso volle che lo accompagnassi a Pollenzo: festeggiava con Carlin Petrini.

Era nato ad Asti nel 1937, appassionato di atletica leggera, gli piaceva raccontare d’essere stato tre volte campione nazionale e sei volte campione piemontese. Nel 2005 era stato eletto in Consiglio regionale nelle liste di Rifondazione comunista per poi diventare assessore alla sanità, ruolo da cui si era dimesso nel 2007 dopo l’ictus.

Era un uomo semplice, diretto, sincero, ironico. Di lui resta l’esempio forte della dirittura morale, la sua certezza che si possa mantenere la schiena dritta anche se il mondo sembra andare in altra direzione, l’impegno a lavorare per il bene comune laddove i più vedono il tornaconto. E il suo grande, rassicurante sorriso piemontese.

Maria Grazia Olivero

L’intervista a Mario Valpreda realizzata da Gazzetta d’Alba nel 2004

La passione della sua vita? Lui – Mario Valpreda, neopensionato, ex direttore della sanità regionale – butta lì l’atletica: è stato sei volte campione piemontese, oltre a vincere tre titoli nazionali Uisp. In realtà, quanti lo conoscono non hanno dubbi: il lavoro. Fino a pochi giorni fa lo si trovava alle 6 del mattino in ufficio, al numero 1 di corso Stati Uniti. Ha mai fatto ferie. Il sabato e la domenica scriveva (e continuerà a farlo). Per 21 anni è stato al vertice prima dei Servizi veterinari e poi della sanità pubblica piemontese.Gazzetta – che gli deve la preziosa testimonianza al processo sull’uso degli anabolizzanti nell’allevamento – lo ha intervistato.

Le maggiori soddisfazioni, dopo vent’anni in Regione?
«I Servizi veterinari hanno avuto un’impostazione d’avanguardia, con una gestione efficace e tempestiva delle emergenze. Si è affermata l’idea del veterinario quale tecnico della salute dell’uomo, non solo legato all’animale. Mi piace ricordare gli interventi nel campo delle malattie infettive e il rilancio della ricerca – con finanziamenti in assoluta controtendenza in quanto a entità e metodi – e la recente battaglia per gli organismi geneticamente modificati. Nella dialettica tra il profitto e la salute, abbiamo sempre scelto senza ambiguità il cittadino».

Per questo il mondo veterinario l’ha spesso osteggiata?
«Mi sono talvolta scontrato con grande provincialismo e non poca grettezza culturale. Purtroppo una professione che ha rilevante funzione sociale cozza con egoismi corporativi, stupidità, avidità e miopia dei singoli».

La lotta all’uso degli anabolizzanti è vinta?
«Si manifesta in forme sempre diverse, ma la sostanza è sempre quella: gonfiare gli animali per ricavarne profitto, infischiandosene delle ricadute sulla salute della gente».

La sua maggiore delusione?
«La sottovalutazione da parte dell’organizzazione sanitaria dell’attività di prevenzione, un segnale d’incultura medica, rivelatore di un business che spinge alla cura. Se la prevenzione fa consumare meno farmaci, si ledono gli interessi di chi li produce».

I rapporti con la politica?
«Ho mai nascosto d’essere un uomo di sinistra».

Il centro-destra l’ha penalizzata?
«Ho ottenuto grandi apprezzamenti per il mio impegno, ma sono sempre stato tenuto fuori dalla stanza dei bottoni… L’episodio più significativo è recente. La nomina a direttore delle Molinette mi era stata comunicata nel pomeriggio. Nella notte è saltata. Il giorno dopo è stato il governatore Enzo Ghigo a telefonarmi per dirmi che avevano scelto un altro. Forse temevano che avrei fatto funzionare la struttura come le altre, in assoluta trasparenza, senza guardare in faccia nessuno e senza accettare ordini».

Comunque la rispettano…
«Ho fatto carriera senza prendere tessere e senza nascondere le mie idee. Ritengo di aver rispettato il mio ruolo istituzionale e di essere stato molto più leale di certi ruffiani… Credo che ognuno sia quello che fa e per questo pretendo di essere giudicato».

Come Carlin Petrini resta comunista?
«Sì. Come riferimento ideale. Anche se non mi sento parte di schieramenti partitici. Ho forti prese di posizione ideali e ideologiche. Ritengo che ognuno debba credere ad un proprio modello di società. Il mio è senza sfruttati e senza sfruttatori, un mondo di vera democrazia, in cui tutti siano liberi e ognuno abbia secondo i suoi bisogni e non secondo le sue abilità di arraffare dalla torta comune».

Con l’ex assessore Antonio D’Ambrosio ha avuto un ottimo rapporto.
«Mi è venuto naturale aiutarlo. Il mio spirito sportivo mi porta a soccorrere chi è in difficoltà. D’Ambrosio si è affidato a persone sbagliate. Gli ho dato prova d’amicizia, che ha compreso. Poi, l’hanno eliminato dai giochi in malo modo».

Che dice di Enzo Ghigo?
«È una persona intelligente, costretta ad accettare i compromessi della politica. Abbiamo fatto insieme la battaglia sugli ogm. Ci siamo trovati alleati in una lotta a favore dell’agricoltura piemontese. Sono contento di questo appoggio».

Il suo impegno l’ha portata a collaborare con il procuratore Raffaele Guariniello.
«C’è stata molta stima reciproca. Gli riconosco grandi meriti. Ma ho avuto anche a che ridire con lui. Come tecnico, non sempre ho condiviso tutto quanto gli suggerivano i suoi collaboratori, che spesso lavoravano a tesi e senza valutare la reale portata sanitaria del problema».

Giancarlo Caselli?
«Lo giudico una persona esemplare, per la correttezza verso i colleghi e le istituzioni».

Hanno mai tentato di corromperla?
«Solo all’inizio della carriera. Mi hanno offerto tre stipendi per una nomina. Ma per essere corrotti, bisogna lanciare segnali di disponibilità…».

Che farà ora? Non pare destinato alla pensione.
«Ho molte proposte. Insegnerò all’Università, scriverò, forse mi occuperò delle Olimpiadi e collaborerò con l’Assessorato ai servizi sociali».

Maria Grazia Olivero

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