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Tito Boeri: il contratto unico, idea per lavorare

INTERVISTA. Tito Boeri, economista dell’Università Bocconi di Milano, venerdì scorso è stato ospite ad Alba nella sala della Casa opere diocesane di via Mandelli, nell’ambito del Corso di formazione sociale dedicato al lavoro, soprattutto giovanile, intitolato L’isola del tesoro.
 Boeri, l’idea del contratto unico a tutele progressive è sua. Che cosa condivide e cosa no del Jobs act in discussione al Parlamento?
«Il principio della tutela progressiva c’è e con le ultime modifiche apportate al Jobs act si sono fatti passi in avanti. Si tratta di capire cosa si vuole fare con questo tipo di contratto, sono importanti i dettagli. L’idea alla base della nostra proposta, condivisa con Pietro Garibaldi dell’Università di Torino, è di evitare forti discontinuità nei costi che portano molte imprese a non assumere con contratto a tempo indeterminato. Sembra che il principio generale sia quello giusto, ma aspettiamo di leggere i decreti attuativi».
Nella scelta degli investitori esteri di venire o meno in Italia, conta di più l’esistenza dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori o la lentezza della giustizia civile?
«Gli aspetti sono strettamente connessi tra loro, entrambe le questioni rappresentano un forte limite all’investimento estero in Italia. Le riforme della giustizia sono anche grandi riforme del mercato del lavoro, le regole vanno cambiate, se vogliamo favorire un flusso di imprese e capitali nel nostro Paese».
Lei ha posto l’accento, più volte, sulla riforma della pubblica amministrazione: tre misure in questo campo che potrebbero essere prese in tempi brevi.  «Il piano del ministro Marianna Madia è molto lontano dall’idea di riforma complessiva della pubblica amministrazione. Quello che si tratta di fare è da una parte creare incentivi per le singole amministrazioni anziché per i singoli dipendenti e in secondo luogo permettere una differenziazione salariale per aree geografiche che tenga conto del diverso costo della vita e della performance delle diverse amministrazioni».
Per anni è stato detto che l’intervento pubblico in economia poteva fare solo danni. È così? Da quali punti dovrebbe ripartire una nuova politica industriale nel nostro Paese?
«L’intervento pubblico è assolutamente necessario, mai come oggi c’è la necessità di grandi interventi pubblici sia nell’economia italiana che europea, con politiche monetarie espansive che i privati non fanno, per esempio l’investimento in banda larga. Tuttavia il modo con il quale lo Stato italiano è intervenuto nell’economia ha creato una serie di situazioni molto negative».
Che peso ha l’evasione fiscale nella crisi italiana? Ci sono misure che potrebbero ridurla?
«Il mancato gettito è certamente una zavorra nella sostenibilità del debito pubblico. Ci sarebbero molti interventi che potrebbero ridurla, ma i governi stentano poiché si tratta di misure molto impopolari. Un intervento immediato potrebbe essere l’incrocio di tutte le banche dati telematiche, attraverso un collegamento diretto e centralizzato; in questo modo si riuscirebbe a identificare la maggior parte delle persone che evadono sistematicamente il fisco».
Le fondazioni bancarie hanno ancora un senso e un ruolo?
«Certamente, ma le fondazioni non devono né avere scopo di lucro, né mantenere il controllo sulle banche. Il problema italiano si è originato proprio da questo fatto, imponendo attraverso un sistema clientelare persone di loro fiducia alla guida degli istituti di credito che hanno portato alla rovina di entrambe le realtà. Questo abbraccio mortale va spezzato, a ognuno il suo ruolo».
Alessio Bottigliero

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