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Giuseppe Miroglio, l’azienda e la famiglia

LA STORIA Una società, quella odierna che – incredibilmente – sembra ancora poggiare saldamente le fondamenta su un’idea: quella dell’impresa familiare. Ovvero un progetto che nasce e si sviluppa attraverso le generazioni, il cui scopo non è soltanto il fatturato ma la trasmissione di cultura, di capacità. Senza dimenticare che le aziende possono sopravvivere al tempo, mentre gli uomini “passano”. Sono concetti emersi durante il convegno dei giovani imprenditori di Confindustria Cuneo tenutosi l’11 al Boscareto resort di Serralunga, un incontro creato per immaginare un futuro di ripartenza e riscatto dagli ultimi, difficili anni.
Durante l’assemblea è emersa la testimonianza di Giuseppe Miroglio, attuale presidente dell’omonimo gruppo.

 

Il giovane manager ha messo in luce la componente affettiva e “relazionale” che si cela dietro ogni business, in quanto condotto da persone e non da automi: «Sono presidente di un gruppo che vale 800 milioni di euro. L’impresa nacque nel 1947 grazie a un’idea di mio nonno. Realizzava tessuti, con una forte componente manifatturiera e artigianale. Poi, mio padre e mio zio presero il timone. Erano diversi per carattere: questa apparente lontananza permise loro di dividersi “naturalmente” i ruoli all’interno dell’azienda. Mio padre più dedito alla parte organizzativa e amministrativa, mio zio allo sviluppo del business. Era una sorta di naturale predisposizione. Quella chimica, tuttavia, aveva del miracoloso e non sarebbe durata nel tempo».
Da qui Giuseppe Miroglio ha descritto il presente con grande onestà intellettuale: «Ho due sorelle. Mio zio aveva tre figli, i miei cugini. A partire dalla metà degli anni 2000 dovemmo dividerci i compiti e le funzioni all’interno dell’azienda. La “chimica” originaria non durò. Attraversammo conflitti e confronti anche accesi. Io e le mie sorelle avevamo studiato all’università, mentre i miei cugini avevano cominciato da subito a lavorare in azienda. Questo portò a visioni differenti. In quel periodo fummo di fronte anche a un cambio generazionale e di management: una sfida su tutti i fronti. Infine, mio cugino Edoardo acquisì alcune proprietà aziendali in Bulgaria. Oggi, diventato cittadino bulgaro, porta avanti questo progetto separato. Per quanto mi riguarda, nel 2006 diventai amministratore delegato e ricoprii quella carica fino al 2013».
Poi l’ammissione, a metà tra l’ironico e il fattuale: «La nostra azienda, potremmo dire, è sempre stata “maschilista”. Non lo sono stato io, che ho una figlia e un’altra è in arrivo. Sono circondato da donne, ho perciò tentato di non creare differenze». E la conclusione: «Abbiamo trovato una soluzione ai problemi relazionali, suddividendo il management dalla proprietà aziendale. Oggi la nostra famiglia ricopre posizioni “strategiche” più che operative. Abbiamo inserito un amministratore delegato esterno e questo ci consente un’organizzazione ottima e orientata al futuro»
Ha concluso Miroglio: «I tradizionali canali di vendita si stanno smaterializzando, profilando ostacoli e sfide che soltanto un’impresa flessibile saprà affrontare».
L’azienda come sinonimo della capacità innovativa e della cultura imprenditoriale, dunque, mantenendo le radici familiari che, sovente (nell’80 per cento dei casi, secondo i dati presentati da Walter Zocchi) si “dissipano” durante la terza generazione.

Matteo Viberti

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