L’astigiano che racconta il tartufo agli inglesi

L’astigiano che racconta il tartufo agli inglesi
Cerca del tartufo: trifolao e tabui sulle colline, all'alba

INTERVISTA Roberto Bertuol è il simbolo di una generazione inventiva, che valica frontiere e inventa ponti, modelli economici, strategie di business. Da Asti all’Inghilterra, una biografia che tenta di unire il mondo dell’informatica e dell’agricoltura.

Qual è il percorso che da Asti l’ha portata all’Inghilterra, Bertuol?
«Ho frequentato l’ultimo anno di università come Erasmus in Germania e da lì sono andato a Glasgow per un master, che poi è diventato dottorato. Lì sono rimasto cinque anni, poi a Londra per altri cinque. Sono tornato in Italia e ho lavorato per la filiale italiana di un’azienda svizzera di traduzioni, in Ferrari, e infine Londra di nuovo. Vivo nella capitale inglese da 8 anni, sposato e con due bambini. Ho mantenuto un forte legame con Asti e il Piemonte. Italiani ce ne sono moltissimi a Londra. Cibo italiano e ingredienti sono facili da reperire anche nei supermercati, ma il dialetto e il tartufo bianco sono rari.Far conoscere il Tuber magnatum Pico e le tradizioni per me è come mantenere un legame non solo con la cultura piemontese, ma anche con la terra e le origini».

Com’è percepito il tartufo bianco in Inghilterra?
«Gli inglesi non hanno tradizione culinaria, tuttavia i palati sono raffinati e la gente è curiosa di sperimentare. Gli inglesi sono aperti alle influenze esterne (come la cucina fusion, in cui l’Oriente incontra l’Occidente) e vogliono conoscere la storia di piatti e ingredienti. Sono disposti a provare gastronomie nuove, al contrario degli italiani, più tradizionalisti. Il tartufo bianco è visto come il caviale. Qualcosa di prelibato e costosissimo. Si sa poco su come cresce, del perché è così costoso, dove si può mangiare».

Come promuoverà la sua attività?
«Organizzando cene a tema (qui chiamate supper clubs), durante le quali racconterò storie (così come faccio sul blog del mio sito) di trifolao, addestratori di cani da tartufo, commercianti, chef».

Il suo progetto si estende anche a Internet?
«Di mestiere sono consulente e-commerce. Il tartufo è una passione e ho notato che le informazioni on-line sono scarse, frammentarie, incomplete. Nonostante esistano parecchie persone che vendono i tartufi bianchi di Alba in Inghilterra, ho pensato mancasse una presenza on-line capace di attrarre
il pubblico più giovane che segue i blog, Instagram, Twitter, YouTube e condivide su Facebook. È
un tipo di pubblico che consente di creare nuove tendenze e facilita la diffusione delle informazioni. Capire e usare il loro linguaggio è essenziale per penetrare il mercato e questo è quello in cui mi specializzo».

Qual è il suo obiettivo?
«L’obiettivo non è solo vendere tartufi a ristoranti e privati, ma educare, far apprezzare e capire ciò che sta dietro alla ricerca di un tartufo bianco, le tradizioni, le storie. Vorrei portare turisti in Piemonte e far loro sperimentare di persona la cerca, il rito della pesatura e della grattata sul piatto, la Fiera internazionale di Alba».

m.v.

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