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L’inchiesta: super batteri, un fenomeno ridotto ma da sorvegliare

L'inchiesta: super batteri, un fenomeno ridotto ma da sorvegliare
Franco Giovanetti, responsabile del servizio di prevenzione dell'Azienda sanitaria di Alba e Bra

Quando argomenti scientifici entrano nelle cronache si può scatenare allarmismo: è il caso della notizia, diffusa la scorsa settimana, della scoperta negli Stati Uniti di un batterio resistente a potenti antibiotici. Abbiamo chiesto cosa significhi a Franco Giovanetti, direttore del servizio di vaccinazioni-profilassi malattie infettive dell’Azienda sanitaria di Alba e Bra.

Dottor Giovanetti, cos’è la farmacoresistenza?
«Un fenomeno naturale che fa parte dei meccanismi di evoluzione delle specie, che si vede nei batteri e nei pluricellulari: è universale. Funziona così: se un batterio acquisisce un gene che gli conferisce un vantaggio rispetto agli altri batteri della sua specie, comincia a emergere: è quanto succede anche con l’antibioticoresistenza».

Quanto è preoccupante?
«Per adesso si tratta di un fenomeno di dimensioni ridotte, ma va tenuto sotto sorveglianza. Bisogna tenere presente che questo caso specifico di escherichia coli resistente agli antibiotici ha fatto scalpore perché è accaduto negli Stati Uniti, ma se consultiamo nelle banche dati gli articoli usciti sul tema, ci sono vari altri studi usciti prima, soprattutto cinesi ma anche in Egitto, Europa e America Latina, che avevano già trovato altri batteri con lo stesso tipo di resistenza alla colistina: è una cosa che nel mondo si sta vedendo, ma come frequenza ancora a livelli molto bassi. Questi studi sono anche il positivo segnale che la sorveglianza c’è. Ma sull’uso razionale degli antibiotici anche la popolazione deve contribuire: ancora adesso vengono usati per iniziativa personale, senza neppure consultare il medico, oppure le persone iniziano il trattamento e appena stanno meglio lo interrompono, producendo resistenze. Questo problema a sua volta è correlato a un altro: negli ultimi anni sono stati scoperti pochi antibiotici nuovi perché si è investito poco nella ricerca di nuove molecole, così si usano sempre gli stessi da molto tempo».

a.r.

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