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Saitta: riprenderemo a investire e ad assumere

Saitta: riprenderemo a investire e ad assumere

IL COLLOQUIO Parliamo con Antonio Saitta, assessore alla sanità del Piemonte. Dal primo gennaio 2017 la Regione uscirà dal gravoso piano di rientro dal debito sanitario, dopo sei anni. Che cosa possiamo aspettarci?

«Eravamo l’unica Regione del Centro-nord in una simile condizione. L’uscita da questa fase ha rappresentato l’obiettivo a cui abbiamo lavorato fin dal primo giorno della Giunta Chiamparino. Abbiamo ereditato una situazione che aveva fatto crescere il nostro sistema sanitario in modo irrazionale, sotto la spinta di interessi particolari e locali, moltiplicando primariati non sempre utili ai bisogni di cura, facendo investimenti anche dove non era logico farli e progettando nuovi ospedali non solo senza avere la garanzia di poterli completare, ma anche senza una coerenza con i cambiamenti in corso nell’assistenza. Si aprirà ora una fase nuova caratterizzata dalla crescita: valorizzeremo il nostro servizio sanitario, tante eccellenze, conosciute forse più a livello nazionale che locale per quella sorta di ritrosia sabauda che ci impedisce spesso di apprezzare la nostra offerta».

Che cosa avverrà?

«L’uscita dal piano di rientro non cambierà il rigore che ci ha caratterizzato finora. Avere i conti in ordine non è una questione da ragionieri, ma la premessa per tornare a crescere, poter assumere personale e fare investimenti, sia in edilizia sanitaria che in innovazione tecnologica».

Aumenteranno gli investimenti in edilizia sanitaria?

«Riprendere a investire in Piemonte significa molto: abbiamo troppe strutture inadeguate e vetuste, per le quali è indispensabile intervenire, e progetti nuovi da completare o far nascere: penso all’impegno per l’ospedale di Verduno: le risorse ci sono, e abbiamo assegnato al nuovo direttore dell’Asl Cn2 Danilo Bono la priorità massima nel completamento. Si tratta di una struttura dall’importanza rilevante per tutto il territorio».

I bisogni della popolazione sono in cambiamento, e l’ospedale non sembra più la sola soluzione.

«Ci siamo impegnati con l’organizzazione e in alcuni casi il potenziamento della rete di assistenza territoriale: occorre un cambio di mentalità, superando il concetto ospedalocentrico. Chiedo agli amministratori locali di dedicare attenzione all’assistenza domiciliare e territoriale, senza fossilizzarsi sulla difesa del numero dei posti letto negli ospedali. Dobbiamo costruire un’offerta adatta ai nuovi bisogni di salute della popolazione. Finora abbiamo creato più di 1.300 posti di continuità assistenziale a valenza sanitaria per dare risposte ai soggetti più fragili –­anziani cronici, non autosufficienti e non dimissibili dagli ospedali – e avviato sperimentazioni (proprio nel Cuneese) sugli infermieri di comunità e di territorio».

Ci saranno le invocate nuove assunzioni?

«So bene che i progetti senza gli uomini e le donne che ogni giorno lavorano fanno poca strada. Per questo il tema delle nuove assunzioni è in primo piano. I 55mila dipendenti della sanità pubblica piemontese nei lunghi anni del piano di rientro hanno lavorato doppio: lo sconsiderato blocco del turn over applicato al 100% dalla Giunta regionale che ci ha preceduto ha causato l’impossibilità di sostituire i pensionamenti. Abbiamo potuto superare – seppur al 50% – il blocco del turn over fin dall’aprile 2015, perché grazie ai provvedimenti messi in campo i ministeri dell’economia e della salute ci hanno riconosciuto impegno e credibilità, concedendo una deroga che ha permesso di assumere ben 1.546 operatori sanitari (tra cui 376 medici, 822 infermieri, 235 operatori sociosanitari) da destinare all’emergenza-urgenza e alla riduzione delle liste d’attesa. A settembre abbiamo potuto assumere altre 1.300 persone e nel 2017 ripartiremo con nuovi numeri».

Matteo Viberti

 

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