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In ricordo di Gianfranco Bettetini, che portò Alba in tv

In ricordo di Gianfranco Bettettini, che portò Alba in tv
Gianfranco Bettettini, il primo a sinistra con la giacca gessata, siede a tavola con Luciana Cerrato, Ettore Costa (al centro) e un giovanissimo Enzo Tortora e il sindaco di allora, Osvaldo Cagnasso.

PERSONAGGIO
Il semiologo e regista è morto a 84 anni: fu amico di Fenoglio
La notizia della morte di Gianfranco Bettetini (giovedì scorso, a Milano, pochi giorni prima di compiere 84 anni) ha fatto ricordare come fosse uno dei padri della semiotica in Italia (con Umberto Eco, di cui era amico) e come l’etichetta di massmediologo, oggi annacquata e svilita per abuso, gli calzasse invece per competenza disciplinare, di studioso teorico e insieme tecnico sul campo.

Ordinario presso l’università Cattolica di Milano Bettetini era stato anche un apprezzato, creativo regista e autore per la Rai, di fiction cine-televisiva e in trasmissioni entrate negli annali: Campanile sera, L’amico del giaguaro, Il signore di mezza età, Carosello… Ad Alba, molti ancora rammentano l’impatto prodotto dall’arrivo della troupe di Campanile sera, nel gennaio del 1961, e l’affezione e la “febbre” salite nella città, che rimase in gara per cinque giovedì di fila: una permanenza-record che fece diventare di casa il presentatore, Enzo Tortora, e appunto il giovane Bettetini. È significativo che, in un libro-intervista uscito nel 2005 (La nostra televisione, edito da Lampi di stampa), il regista non mancasse di rievocare la tappa albese, tra quelle più «ospitali» e persino sperimentali, sul piano della messa a punto della trasmissione e dello stile registico, nella costruzione delle riprese in piazza alternando le uniche due, ingombranti telecamere a disposizione. Ma è soprattutto il clima di familiarità che informa il ricordo, anche degli albesi, tra serate in trattoria e gag diverse (un finto rapimento di Tortora, una seduta spiritica…), in cui gli uomini della Rai si mescolavano agli aborigeni più direttamente coinvolti nell’organizzazione della squadra locale, dalle autorità al famoso “Pensatoio”.

Il progetto cinematografico

Tra questi, Beppe Fenoglio, che con Bettetini instaurò un rapporto di stima e amicizia, basato anche sulla comune passione per il cinema – al punto che tra il 1961 e il 1962 i due parlarono a lungo di fare un film insieme. Sarebbe stato l’esordio per entrambi: Bettetini regista di un soggetto di Fenoglio, che lo scrittore di Alba aveva individuato tra le storie e i caratteri della Langa che amava e “sentiva”.

Era la storia di un fratricidio: e se Fenoglio era sulle prime timoroso della sua violenza (e della sua violenza portata al cinema), Bettetini lo seppe rassicurare sulla moralità della sua cinepresa. Ed era una storia contemporanea, ambientata tra l’alta Langa e Torino: il sordo conflitto tra due fratelli si svolge tra la durezza dell’economia contadina e quella uguale e contraria dell’inurbamento industriale, in una società che si avvia al consumismo e dove fanno il loro ingresso, da alieni, la Coca-Cola e la televisione – lo stesso mezzo, a ben pensarci, che porta Campanile sera a “scoprire” la provincia italiana. Dopo sopralluoghi e chiacchierate (che ci restano in parte, come una eco, nelle lettere scambiate e conservate) Fenoglio prese a scrivere scene e dialoghi secondo una struttura definita da Bettetini, attingendo a materiali di cui aveva «fiducia»: ma era ormai l’estate piena del ’62, sarebbe morto pochi mesi dopo. Bettetini, per rispetto dell’amico, non riprese in mano con altri il lavoro: «il soggetto è tuo», aveva ribadito a Fenoglio, «la storia è uscita da te».

Nel ’62 l’ultimo incontro con Fenoglio

L’ultimo incontro tra i due avviene a ottobre del 1962, nella cornice folcloristica della Bela trifolera: Bettetini viene invitato in giuria, e ad Alba trova un Fenoglio già malato, abbattuto. L’effetto è straniante e commovente; non regna più, certamente, lo spirito allegro e ingenuo delle serate di Campanile sera. Che invece vogliamo immaginare ancora, attraverso la fotografia che riproduciamo in questa pagina, per gentile concessione della signora Luciana Cerrato: si riconoscono Bettetini (a sinistra, con la giacca gessata) ed Enzo Tortora seduti al tavolino, in mezzo a loro Ettore Costa; alla sinistra di Tortora, il sindaco di allora, Osvaldo Cagnasso; in primo piano, speculari, Luciana e Ugo Cerrato. Quel «maestro Cerrato» che Fenoglio, nella sua ultima lettera al regista, dichiarava «indispensabile» per il lavoro sulla sceneggiatura, in virtù della sua conoscenza della Langa. L’amico Ugo Cerrato, insomma, entusiasta e disponibile, che ci ha lasciato anche lui in questi giorni, dieci anni fa.
Edoardo Borra

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