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La battaglia del Cervino, quando lo sport diventa simbolo dell’Italia

La battaglia del Cervino, quando lo sport diventa simbolo dell’Italia

INTERVISTA Pietro Crivellaro ad Alba con il saggio sulla conquista della vetta, nel 1865
Erano in corso due tentativi, il 14 luglio 1865. Gli inglesi, guidati da Edward Whymper, salivano dal versante svizzero di Zermatt. Gli italiani, con in testa la guida Jean Antoine Carrel, avevano intrapreso il percorso più difficile, per la via valdostana di Breuil. Tra di loro, la cima inviolata del Cervino. In un’Italia unita da pochi anni, lo statista piemontese Quintino Sella, alpinista a sua volta, capì il valore simbolico dell’impresa e ne divenne il regista. Una vetta decisiva, dunque, conquistata per pochi metri dagli inglesi. Una vittoria tramutatasi in tragedia: al ritorno un incidente causò la morte di quattro alpinisti. Ma la scalata degli italiani non era terminata, perché tre giorni dopo furono loro ad arrivare in cima, per salvare l’onore della Patria. Pietro Crivellaro, giornalista, storico dell’alpinismo e responsabile del Centro studi del teatro Stabile di Torino, ricostruisce la storia della conquista italiana. In collaborazione con la sezione albese del Cai, La battaglia del Cervino, edito da Laterza, sarà presentato oggi, sabato 18 febbraio, alle 18 nella libreria La torre.

Crivellaro, qual è la vera storia della scalata italiana?
«Si tratta di una vicenda complessa, sulla quale rimanevano molti dubbi. Prima di tutto, a causa della tragedia che colpì la cordata inglese, all’epoca l’opinione pubblica si scagliò contro i rischi dell’alpinismo, non ancora sport riconosciuto, facendo calare una coltre di silenzio sugli italiani. Sono stati pubblicati moltissimi libri sul Cervino, puntando su eroismi e leggende, piuttosto che ricostruire la realtà dei fatti e i profili dei personaggi. Per esempio, a fronte di un Carrel che si lasciò inspiegabilmente battere a poco più di duecento metri dalla cima, emergono personaggi fondamentali, come l’abbé Gorret, parroco anticonformista e alpinista, vero protagonista del successo italiano, che ebbe il grande merito di riunire le anime del gruppo e di continuare la scalata. Tra i suoi incarichi, fu anche rettore di Saint Jacques. “Questa è una piccola battaglia perduta”, scrisse il 14 luglio Felice Giordano, braccio destro di Sella, allo statista. Ma con tre giorni di ritardo, gli italiani riuscirono a conquistare la vetta, per poi ritornare illesi».

Un’impresa dai forti risvolti patriottici.
«A reggere le fila di tutto, c’era Quintino Sella, grande uomo politico biellese, per tre volte ministro delle finanze del Regno. Alpinista a sua volta, conferì alla conquista del Cervino un grande valore simbolico. Lo sport divenne il modo di qualificare la nazione per trovare quell’identità solida su cui costruire l’avvenire. La conquista del Cervino non è solo una scalata, ma è una battaglia post risorgimentale, da inserire a pieno titolo nella storia italiana. Grande sostenitore del ruolo dell’alpinismo, Sella aveva fondato il Club alpino italiano, dopo aver guidato la prima scalata italiana al Monviso, nel 1863. Proprio quest’impresa può essere considerata come il presupposto ideologico ed emotivo della salita al Cervino».

Com’è riuscito a destreggiarsi tra fonti storiche e romanzo?
«Ho consultato per anni documenti e lettere pressoché sconosciuti, che propongo in ordine cronologico. L’intera vicenda è narrata come un romanzo, con momenti di grande suspense. Ho cercato di ricostruire le varie fasi di un’impresa di per sé molto avvincente. Il filo conduttore rimane la storia italiana, in una fase complessa come gli anni successivi all’unificazione. Se pensiamo all’età contemporanea, possiamo trarne un messaggio prezioso: lo sport, con le sue battaglie, può diventare il simbolo di un Paese».

Francesca Pinaffo

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