Da Parigi a Grinzane lo chef più stellato

Da Parigi a Grinzane lo chef più stellato 8

GRINZANE Yannick Allèno è uno chef francese. Fin dal 2007 indossa tre stelle Michelin per il suo ristorante Pavillon Ledoyen di Parigi. Il 10 febbraio, la notizia: il suo secondo locale – Le 1947 au Cheval Blanc a Courchevel – ha replicato ricevendo altre tre stelle. Moderno e visionario, Allèno ha contribuito a rinnovare la grande cucina francese attraverso studio, ricerca, estro e creatività.

Per avere valorizzato i terroir e i paesaggi agrari d’Oltralpe attraverso i suoi dialoghi del gusto con i prodotti di eccellenza, lo chef è stato ospite dell’Enoteca regionale piemontese Cavour di Grinzane, che in occasione dei suoi cinquant’anni organizza un appuntamento con grandi cuochi e cucine del mondo, seguito da Luciano Bertello. L’evento dal titolo “Langhe-Roero e Monferrato: dialoghi del gusto nei paesaggi Unesco” si è tenuto nel castello di Grinzane Cavour domenica 19 febbraio. Riprendiamo l’intervista realizzata pochi giorni prima del suo arrivo.

È stato nelle Langhe. Cosa significa per lei questa terra, Allèno?

«Nutro estrema affezione verso le colline che circondano Alba. Con la mia famiglia vengo sovente in vacanza a Barolo. Inoltre ho in quella zona molti amici chef, tra cui Enrico Crippa del ristorante Piazza Duomo. Le Langhe rappresentano per me un esempio di eccellenza e di una terra che sa crescere».

Negli ultimi anni il cibo e l’enologia locali sono cresciuti. Come vede questa parabola ascendente?

«Del tutto meritata. Il cibo italiano e il vino crescono perché di ottima qualità, e nel futuro prevedo per voi ulteriori trionfi».

La competizione con le eccellenze francesi non la spaventa?

«Penso che la competizione sia non solo necessaria, ma anche auspicabile. Quando le persone percepiscono un concorrente, sono motivate a dare il meglio di sé e a mobilitare energie che altrimenti rimarrebbero sopite. Perciò non mi spaventa l’ascesa dell’enogastronomia italiana. In particolare, guardo con estrema curiosità al concetto emergente di cucina povera, ovvero quella originata dalle pratiche contadine, di classi meno abbienti, una cucina che diventa accessibile a tutti».

La cucina stellata, a cui lei ha dedicato la vita, non rischia di diventare elitaria a causa dei prezzi?

«In Francia il cibo costa molto di più che in Italia, quindi è difficile rendere l’alta cucina accessibile a tutti. Nel vostro Paese invece i costi sono inferiori: è possibile inventare metodologie che facilitino in futuro un avvicinamento di ogni classe sociale a questo tipo di arte».

Qual è il segreto del suo successo culinario?

«Difficile da dire. Tre sono gli elementi che determinano un successo: il duro lavoro, la passione e un pizzico di talento. Ad esempio, nella preparazione delle salse, nei miei ristoranti, adottiamo un metodo preciso: cuciniamo ogni ingrediente separatamente, a temperatura diversa. Una volta pronti, i singoli elementi vengono mescolati uno con l’altro. È un processo lento e faticoso, ma la qualità che si ottiene non è ripetibile né descrivibile».

Non si è mai stancato di questo lavoro?

«No. Penso che la cucina sia semplicemente fantastica. Da quando ho 16 anni lavoro ai fornelli e questa sensazione di meraviglia non mi ha mai abbandonato».

Matteo Viberti

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