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Emanuele Caruso presenta La terra buona, storie di vita tra le montagne

Emanuele Caruso presenta La terra buona, storie di vita tra le montagne 1

ALBA  Dopo l’esordio con E fu sera e fu mattina, e il successo di quell’insolita produzione “dal basso”, è arrivato il momento del secondo film – di norma il più difficile per un regista – per l’albese Emanuele Caruso.
Mercoledì 21 febbraio, alle 18.30, nella sala Beppe Fenoglio si terrà ad Alba la conferenza stampa di presentazione di La terra buona, girato in Val Grande, nel Verbano, il 24 febbraio ci sarà un’anteprima a Cuneo e in uscita in alcuni cinema selezionati: dal 1° al 6 marzo sarà al Cinema Cine4 di Alba, dal 2 al 7 marzo all’Impero di Bra, dal 15 al 19 marzo al Multilanghe di Dogliani, mentre il giorno 16 marzo sarà proiettato al cinema Elios di Carmagnola

Il regista racconta la genesidella pellicola

Il film racconta le storie (vere) di una ragazza in cerca di salvezza, di un sacerdote eremita e di un ricercatore isolato per le sue idee. Abbiamo incontrato Caruso, al quale abbiamo chiesto la genesi del film. «Nella realtà le tre storie non si sono mai incontrate e il lavoro di sceneggiatura è stato proprio quello di fonderle insieme. Il tutto nasce dall’incontro con padre Sergio De Piccoli, monaco benedettino della Val Maira, che a Marmora ha fondato una delle biblioteche più alte d’Europa: 70mila volumi a 1.550 metri d’altezza. Da lì è nato tutto il resto».
La terra buona, come il precedente lavoro di Caruso, è stato prodotto (e sarà distribuito) in forma totalmente indipendente: «Il film è costato 195mila euro: una grande azienda di Alba ha investito una cifra a cinque zeri, il resto è stato invece finanziato con una raccolta fondi in azionariato popolare: una percentuale degli incassi in cambio di una o più quote da 50 euro».

Emanuele Caruso presenta La terra buona, storie di vita tra le montagne
Emanuele Caruso, regista albese

Le riprese in alta montagna sembrano rimandare all’estrema essenzialità e difficoltà del lavoro da cui nasce il film: «La Val Grande», dice ancora Caruso, «è la zona selvaggia più grande d’Europa e non essendoci strutture ricettive, gli abitanti della borgata Capraga ci hanno dato gratuitamente le loro case per due mesi. Il clima insolito ci ha isolato dal mondo, ma è stato perfetto per le riprese». Dunque, il paesaggio non solo come sfondo ma come vero e proprio personaggio, secondo un’idea di piccola rivoluzione che Caruso ritiene necessaria: «Ciascuno dei protagonisti del film rappresenta un mezzo, un’idea, un tentativo per provare a rendere questa terra buona».

Roberto Manassero

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