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L’annata è complessa ma la qualità è elevata

L’annata è complessa ma la qualità è elevata

VINO Fino a poco tempo fa si chiamava “Anteprima vendemmia”. Oggi potrebbe essere “Stati generali del vino piemontese”. Dopo la sospensione di un anno, l’evento è tornato come sintesi e confronto su ciò che è successo nell’annata vitivinicola 2017 e per parlarne i principali attori della filiera si sono trovati alla sede della Vignaioli piemontesi, a Castagnito. Numerosi i partecipanti e altrettanto gremita la platea. Ha iniziato Giulio Porzio, presidente della Vignaioli piemontesi, che ha ricordato come il settore vitivinicolo sia la locomotiva che traina un gruppo numeroso di comparti, a cominciare da quelli turistici. Il turismo di qualità che si sta consolidando sulle aree collinari del Piemonte ha nel vino un protagonista di grande prestigio.
L’assessore regionale all’agricoltura Giorgio Ferrero, congratulandosi con i produttori e i loro organismi di rappresentanza per gli ottimi risultati conseguiti in un’annata dai contorni difficili, ha sottolineato come il settore vitivinicolo piemontese sia «condannato a fare qualità», perché è l’unica strada dove può dire la sua con probabilità di successo. La via della quantità porterebbe a una sconfitta annunciata.
È toccato poi a Michele Vigasio, che per la Vignaioli ha coordinato il lavoro di verifica dei processi di maturazione dei vari vitigni nelle diverse zone della regione, fare il punto sulla qualità delle uve. Vigasio ha sintetizzato i caratteri dell’annata 2017 con uno stretto parallelo con il 2003, altra annata dai toni piuttosto caldi. Hanno fatto la differenza a favore del 2017 alcune situazioni: la preparazione professionale dei viticoltori per un’attenzione ai temi legati a condizioni climatiche estreme e la presenza di supporti tecnici in vigna sempre più attenti e specializzati. E, poi, tra le due annate ci sono state delle differenze concrete: il 2003 è stato un anno ancora più caldo e aggressivo del 2017.
Il fatto che i vitigni autoctoni abbiano ben risposto alle difficoltà climatiche del 2017 è venuto fuori anche negli interventi dei presidenti e degli esponenti dei vari consorzi di tutela (Caterina Andorno per l’Erbaluce di Caluso, Filippo Mobrici per Barbera d’Asti e vini del Monferrato, Francesco Monchiero per il Roero, Maurizio Montobbio per il Gavi, Romano Dogliotti per l’Asti e il Moscato, Pietro Ratti per i vini albesi e doglianesi e Paolo Ricagno per il Brachetto d’Acqui). Tutti hanno sottolineato gli esiti qualitativi dell’annata che sono andati ben al di là delle aspettative più rosee.
E, in questi casi, i giudizi fanno riferimento non solo alla qualità delle uve, ma anche ai primi, significativi riscontri sui vini. Le valutazioni definitive si trarranno più avanti, ma queste prime considerazioni proiettano ottime speranze un po’ su tutti i vini, anche su quelli che avranno bisogno di maturazione e affinamento.
L’incontro di  Castagnito è stato anche l’occasione per presentare la pubblicazione 2017, l’annata vitivinicola in Piemonte, testo che è la sintesi dell’anno, con un particolare riferimento al clima, alla maturazione delle uve, ai fatti economici e alle tendenze di sviluppo dei principali vini a denominazione di origine.

All’incontro sulla vendemmia sono stati anche ufficializzati i dati economici dell’annata appena conclusa. Dagli anni Ottanta, il Piemonte osservava una tendenza costante alla riduzione del potenziale viticolo.
In sintesi, dalla fine degli anni Settanta al 2016, si è passati da circa 90mila ettari a 43.900. Il 2017 è stato il primo anno in cui si è avuta un’inversione di tendenza. Alcuni segnali del contenimento dell’emorragia vitata si erano già visti nelle ultime annate, ma nel 2017 siamo passati dai 43.900 ettari dell’anno prima a 44.202, con un incremento di 302 ettari. Il patrimonio viticolo piemontese si ripartisce tra le otto province privilegiando le tre meridionali: al primo posto c’è quella di Cuneo con 15.821 ettari, seguita da Asti (14.875) e Alessandria (11.433). In queste tre province c’è
il 95,31% della superficie  a vite del Piemonte.
Per quanto riguarda la produzione, esaminando le ultime 15 vendemmie, quella del 2017 ha dato il risultato quantitativo più basso: appena 2 milioni e 43.136 ettolitri di vino, con una riduzione di 505.943 ettolitri rispetto al 2016 (il 19,8% in meno). Il 2017 è stato l’annata più scarsa di sempre, seguita dal 2003 (altro anno molto caldo), che però aveva fatto registrare due milioni e 281.511 ettolitri. La situazione piemontese è in linea con il dato nazionale, che aggiudica all’Italia una produzione di 39,3 milioni di ettolitri, inferiore del 23% rispetto al 2016. Anche per la produzione effettiva, le tre province meridionali del Piemonte giocano un ruolo primario: Cuneo contribuisce al prodotto regionale con 746.900 ettolitri, Asti con 729.625 e Alessandria con 480.040. L’incidenza percentuale di queste tre province sul totale è del 95,77%.

La ripartizione tra rossi e bianchi premia ancora i primi (55%) rispetto ai secondi (45%), ma è distante dalla suddivisione del 1980, quando i rossi erano il 90%. Significativa è la segmentazione tra i vini a denominazione di origine e quelli generici. Oggi i vini Do sono l’83% della produzione globale e ai vini comuni resta il 17%. Nel 1980 la situazione era opposta: i vini da tavola erano il 76% del prodotto piemontese e quelli a denominazione il 24%.

Giancarlo Montaldo

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