L’arma del beato Giuseppe. Domenica 1° aprile il ricordo di padre Girotti

L'arma del beato Giuseppe. Domenica 1° aprile il ricordo di padre Girotti
Padre Giuseppe Girotti è morto a Dachau il giorno di Pasqua del 1945.

ALBA Dal centro studi Catti i testi del frate albese scritti nel lager nazista
Pasqua cade il 1° aprile; ed era il 1° aprile del 1945, quando nel campo di sterminio di Dachau moriva il beato padre Giuseppe Girotti, frate domenicano albese Giusto tra le nazioni, che in lager era finito, come riportava la sua scheda di detenzione, per aver dato «aiuto agli ebrei». L’associazione che è stata intitolata alla sua memoria e si impegna a testimoniarne la figura e l’opera, ha pensato di proporre un’occasione di coinvolgimento per riavvicinarsi al biblista ed esegeta, che seppe fare la carità fino al sacrificio di sé: proprio oggi,  domenica 1° aprile, alle ore 17.30, nella chiesa di San Giuseppe ad Alba – nel numero di Gazzetta d’Alba in edicola dal 27 marzo riserviamo un ampio servizio all’argomento– Paolo Tibaldi leggerà integralmente la Meditazione sull’unità dei cristiani, il testo di un discorso che Girotti scrisse e pronunciò (in latino), a Dachau il 21 gennaio ’45, per un pubblico di confratelli come lui internati. È uno dei pochi testi pervenutici, tra quelli che Girotti riuscì a comporre in prigionia, non smettendo mai l’attività di pensiero e la progettazione di nuovi studi. Come sempre, di fronte a simili documenti, si prova un senso di incredulità e ammirazione, per le condizioni di abbrutimento che i loro autori si trovavano a contrastare, dando ulteriore prova di resistenza.

A Torino, nell’archivio del centro studi Giorgio Catti si conserva, in un faldone riservato «a padre Girotti e alla sua prigionia», una fotocopia del manoscritto, steso su sette fogli con una grafia fitta e ordinata, senza ripensamenti o correzioni. Abbiamo potuto prenderne visione grazie alla cortesia di Walter Crivellin, direttore del centro, fondato per raccogliere testimonianze dell’impegno dei cattolici alla Resistenza e intitolato allo studente torinese Giorgio Catti (1925-1944), formatosi nell’Azione cattolica, partigiano in Val Chisone, morto nel rogo appiccato dai soldati di Salò a un fienile dove s’era rifugiato.

«Pater, sanctifica eos in veritate»: l’omelia inizia con la preghiera di Gesù dal Vangelo di Giovanni. E subito, mettendosi in ascolto, non si può fare a meno di sentire l’urgenza dell’invocazione di Girotti: l’invito «all’unità di tutti i cristiani separati, in particolare degli orientali», a deporre «il peso della divisione» deve essere inteso come la preghiera di Cristo perché la Chiesa dei credenti sia «una sola cosa (…) perché il mondo creda che Tu mi hai mandato».
Ma come credere che Dio abbia mandato Cristo nel mondo che genera Dachau e Auschwitz? Seguendo l’omelia di padre Girotti, riceviamo la sua risposta, come in tempo reale, da quelle tenebre: una testimonianza di fede saldissima, che sembra portarlo a premurarsi della saldezza dei confratelli. La prima parte del discorso presenta un catalogo di pastori martiri delle comunità cristiane d’Oriente, da «studiare e imitare» perché «diedero la vita per difendere l’unità della Chiesa». A noi lettori “comuni”, sembra di ascoltare un discorso di preparazione: alla morte di alcuni, ma anche alla vittoria sui «regni» di altri. Nella notte e nebbia del lager, l’appello diventa così, in un passaggio più esplicito, una necessità di sopravvivenza e ricostruzione: «A nessuno sfugge che l’unità di tutte le Chiese e comunità è massimamente necessaria ai nostri giorni. Per tutti noi è certo che la Divina Provvidenza non ha né voluto né messo a capo della nostra infelicissima Europa bisognosa d’esser ricostruita quelle forme organizzate d’incredulità che sono responsabili di questo immane crimine qual è questa scellerata guerra (…) questo nefando caos». Dio, insomma, non ha nulla a che fare con i regimi totalitari e genocidi, né con le guerre; e in Cristo «salvatore di tutto il genere umano» è riposta la speranza della redenzione.

Dopo preghiera, parola ed esempio, l’ultima ingiunzione sembra rispecchiare un tratto autobiografico: «Notte e giorno dobbiamo dedicarci allo studio della teologia e della storia ecclesiastica». L’esortazione di san Giovanni Crisostomo a nutrire l’anima: Girotti riuscì a farne un’arma; e vengono in mente, su un piano “laico”, Primo Levi e Dante, il canto di Ulisse; o Shostakovich mentre compone la settima sinfonia, prigioniero in Leningrado assediata.

Edoardo Borra

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