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L’ultima tradotta ricorda la Russia e il no alla guerra

L’ultima tradotta ricorda la Russia e il no alla guerra

ALBA La compagnia Teatro Moretta venerdì 4 maggio, alle 21, presenterà nella sala parrocchiale L’ultima tradotta, opera documentaria sulla tragedia della divisione alpina Cuneense in Russia. L’unità del Regio esercito fu infatti chiamata «la martire» per il numero di caduti e dispersi, quasi il 90 per cento dell’organico, periti in combattimento, per il freddo e la fatica nella ritirata, per gli stenti e le malattie nei campi di prigionia.

Il lavoro teatrale scritto da Piero Eirale e diretto da Maurizio Ferrero unisce tre storie che si intrecciano tra loro. Spiega Eirale: «Il progetto è per noi ambizioso, siamo abituati a recitare testi comici e brillanti. Cimentarsi in un lavoro drammatico non è facile, sebbene stimolante e gratificante. Speriamo di riuscire a trasmettere l’importanza del messaggio». Oltre alla narrazione dei fatti accaduti alla Cuneense, con l’ausilio di video e foto, sarà proposta un’intervista video a Luigi Mascarello. Classe 1921, fu fante nella divisione Ravenna, operativa tra il 1942 e il 1943 sulle rive del Don. La terza parte recitata dello spettacolo proporrà l’avventura di un alpino di Langa scampato allo sterminio, ma che purtroppo non riuscirà a superare il trauma provocato dalla guerra.

«Lo scopo è ricordare il sacrificio di migliaia di giovani della provincia di Cuneo avvenuto 75 anni fa», conclude Eirale. «Rendiamo omaggio a uno degli ultimi reduci viventi, patrimonio della comunità. Vogliamo poi contribuire a denunciare gli orrori e urlare un forte “no” a ogni guerra».

È lo stesso Luigi Mascarello a raccontare un frammento del suo calvario: «Erano tre giorni che io e Pierin Asteggiano camminavamo nella steppa da soli, senza praticamente dormire o mangiare. Un mattino, veramente distrutti, arriviamo in un villaggio con alcune isbe. Entriamo in una dove ci sono tre donne anziane: chiediamo se hanno qualcosa da mangiare. Subito dicono di no, poi una, mossa a compassione, esce dall’isba e poco dopo rientra con quattro patate e le mette in pentola a bollire. Nel frattempo esco a controllare la situazione e poco dopo sento i colpi di mitragliatore dei partigiani russi che si avvicinano. Rientro nell’isba ad avvisare l’amico: rovesciamo la pentola, prendiamo le patate – né cotte né crude – le infiliamo in tasca e riprendiamo la marcia nella neve e nel freddo. Dopo ore transita un camion carico di italiani che stanno ripiegando, carico all’inverosimile, con i soldati sistemati uno addosso all’altro come si caricano i sacchi di grano. Urliamo che per favore ci carichino, ma ci fanno capire e vedere che non c’è più posto. Poi un soldato dice che se vogliamo provare a salire sul telone, loro da sotto ci daranno una mano. Come abbiamo fatto, in quelle condizioni, non riesco a capirlo nemmeno ora: tra le urla e le bestemmie dei soldati ai quali schiacciavamo la testa, e la spinta di altri, riusciamo a salire e a percorrere alcuni chilometri, fino a quando il veicolo non termina il carburante. La marcia riprende».

Matteo Viberti

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