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Con Paolo Tibaldi scopriamo le origini del verbo “Cissé”

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ABITARE IL PIEMONTESE

Cissé: aizzare, incitare, provocare, stuzzicare

Quasi come fosse la continuazione della puntata precedente, oggi parliamo di un verbo vivace che indica un atteggiamento quasi imprescindibile per la ribòta, narrata la scorsa settimana. Come è possibile, infatti, far decollare qualsiasi sorta di bagordi senza quell’individuo – sempre lo stesso! – che ha esperienza in fatto di provocare in positivo la folla, o anche soltanto i compari? Cissé è il verbo di riferimento, ma se proprio vogliamo estendere l’espressione sappiamo che in piemontese, spesso e volentieri si dice cissé la maràja, vale a dire stuzzicare il gruppo, la marmaglia o una persona particolarmente “debole” su un determinato argomento.

Partendo da lontano, c’è chi sostiene che il verbo cissé, provenga da una base onomatopeica originata dal verso che serve, o serviva, per incitare al movimento un animale da allevamento. Per citare un documento storico di Zalli, risalente al 1815: “voci contadinesche con le quali i bifolchi sollecitano i buoi e le vacche a camminare”. Del resto, sappiamo che l’espressione latina cis indica al di qua di un certo luogo.

Ora tralasciamo l’originario utilizzo animale e veniamo agli utilizzi attuali, specie tra persone. L’atteggiamento di cissé avviene non solo in fase di festeggiamento per dare una svolta di entusiasmo alla serata, ma spesso succede che un gesto, una provocazione o una parola di troppo, sia la goccia che fa traboccare il vaso e scaturisca così un malaugurato litigio. Tutto perché qualcuno è stato punto nel vivo.

La vulnerabilità fa sì che questo verbo abbia una sua importanza anche tra i bambini. Quelli un po’ turbolenti, non perdono occasione per farsi provocare da altri e mostrare la loro convinta esperienza nel fare qualcosa. Io stesso, da piccolo quante volte mi son sentito dire da mia mamma prima di uscire di casa: bèica ëd nen fete cissé! (vedi di non farti incitare!).

Paolo Tibaldi

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