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Il dilagante salvinismo che sdogana l’intolleranza

Don Antonio Sciortino
Don Antonio Sciortino

EDITORIALE “Vergogniamoci. Noi italiani dovremmo vergognarci tutti insieme”. L’ha scritto, in un editoriale, il direttore di Avvenire, Marco Tarquinio. Ormai, non si tratta più di qualche caso isolato. Ogni giorno, una nuova violenza. Contro immigrati e stranieri. E’ partita la “caccia al negro”. Alla grande. E gli atti di xenofobia e razzismo sono continui. In ogni angolo d’Italia. Da vigliacchi. Una becera gara di inciviltà. Frutto di ignoranza. Tanta ignoranza! Figlia, soprattutto, di un clima di intolleranza. E di impunità. Ci si sente con le spalle coperte. Dall’alto. Da chi alimenta le paure e il rancore. Da chi sminuisce ogni esecrabile atto di violenza. Scaricando il malessere del Paese sugli immigrati. Vero “capro espiatorio”. Per distrarre l’attenzione da una politica che è solo incompetenza. Mista all’arroganza. Con promesse elettorali non mantenute. Anzi, difficili da realizzare. Per non dire impossibili. Dal reddito di cittadinanza alla flat tax.

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Applausi, strette di mano, decine di selfie e abbracci per il ministro dell’Interno Matteo Salvini dopo la conferenza stampa in Prefettura, Genova, 15 giugno 2018. ANSA/LUCA ZENNARO

Ogni giorno, un inconcludente tira e molla paralizza il Paese. Al di là dei proclami, l’economia regredisce. Su Ilva e Tav siamo alla “tela di Penelope”: disfare quel che è stato fatto.  Unico obiettivo:  distinguersi dai precedenti Governi.  Ma a preoccupare è il calo del livello di civiltà. Il venir meno di tolleranza, accoglienza, solidarietà. “Governo del cambiamento”?  Forse. Finora, però, verso il peggio. Come mostra il braccio di ferro sulle nomine Rai. Il disprezzo delle minoranze e delle opposizioni. La mancanza di galateo istituzionale. Domina l’arroganza della retorica. Che chiamano “rivoluzione culturale”! Così, ogni stormir di fronde è un “cambiamento storico”! La stessa leggerezza di quando il vicepremier 5stelle chiese l’impeachment di Mattarella. Gesto gravido di conseguenze. Salvo, poi, ripensarci qualche giorno dopo.

Nel Paese, l’intolleranza s’allarga a macchia d’olio. E c’è pure chi la sdogana. Semplicemente negandola. “Emergenza razzismo in Italia? Non diciamo sciocchezze”, risponde infastidito il ministro dell’Interno. Non ancora conscio del suo alto ruolo istituzionale. Che è di responsabilità. Chiamato a pacificare gli animi. A garantire il rispetto della legge. E la sicurezza degli italiani. Tutti. Anche quella dei rom. Per questo non gli s’addice la maglietta degli ultras di estrema destra, con la scritta “Offence best defence” (l’offesa è la migliore difesa). Tanto meno twittare il mussoliniano motto:  “Tanti nemici tanto onore”.

L’invito rivoltogli dal direttore di Avvenire a “pesare le parole”, sembra caduto nel nulla. Il clima nel Paese è teso. Incattivito. Tra livori e  frustrazioni. Tutti contro tutti. E cittadini-giustizieri vogliosi di armi. Per farsi giustizia da sé. Senza “fastidiosi” vincoli legislativi. Qualcuno, nel frattempo, lavora ad allargare le maglie della legittima difesa. A dismisura. Una sorta di legittimazione indiretta da parte della politica. “Se rappresentanti delle istituzioni”, ha scritto Chiara Volpato, docente di psicologia sociale, sul Corriere della sera (30 luglio 2018), “parlano dei migranti sempre e solo in termini negativi e alimentano la paura, dicendo che sono tutti delinquenti, si crea uno spazio in cui le persone sono legittimate a sfogare i loro peggiori istinti. Diventa un via libera, di fatto, alle pulsioni razziste”.

Pulsioni razziste in continua crescita. In pochi mesi, la lista s’è allungata a dismisura. A Vibo Valentia Soumalya Sacko, 29 anni, bracciante sindacalista è ucciso con un colpo di pistola. A Caserta due giovani del Mali sono oggetto di tiro a segno da una Panda in corsa. A Roma una bimba rom, di appena un anno, è gravemente ferita da un colpo d’arma partito da una terrazza. Rischia la paralisi. “Stavo mirando a un piccione”, ha detto a Vicenza chi ha colpito un operaio di Capoverde, che lavorava alle luminarie. “Tornatene a casa”, hanno inveito contro un giovane senegalese, dopo averlo aggredito a calci e pugni in un bar di Palermo. Ad Aprilia Hady Zaitouni, d’origine marocchina, sospettato di furto, ha perso la vita dopo un inseguimento in macchina e le percosse subite. Uno degli aggressori aveva una pistola, in bella vista, nei pantaloni. Ibrahima Diop, senegalese, sposato con un’italiana, all’Asl di Teramo s’è sentito dire: “Qui non c’è il veterinario, vattene”. In un bar di Cala Gonone, in Sardegna, quattro ragazzi non hanno voluto che a servire la birra fosse Mamadou Niang, cameriere senegalese.

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Ibrahima Diop un senegalese di 39 anni, dal 2000 in Italia, sposato con un’italiana e con un figlio di 16 anni, residenti a Roseto degli Abruzzi (Teramo), ha denunciato ai carabinieri di essere stato insultato da un dipendente della Asl di Teramo che gli avrebbe detto la frase ‘qua non c’è il veterinario’, 30 luglio 2018.
ANSA/MASSIMILIANO SCHIAZZA

L’ultimo sgradevole episodio, in ordine di tempo, a Moncalieri. Forse una bravata. Daisy Osakue, atleta azzurra di origini sudafricane, è colpita all’occhio con un uovo. Ha rischiato di saltare gli europei di atletica a Berlino. “Ecco come mi hanno ridotto i miei aggressori”, ha detto Osakue. Aggiungendo, con dignità: “Nonostante questo, penso che l’Italia sia un Paese bellissimo. Ma sta prendendo piede una brutta malattia, ovvero il razzismo”. Quella stessa dignità è mancata a molti. “E’ solo un uovo in faccia”, ha ironizzato il fondatore del Movimento 5 stelle. Con sarcasmo. La colpa, anzi, è dei mass media. Soliti a strumentalizzare. Così, portano la nazione verso il baratro. “Non avevo mai visto con i miei occhi un così forte condizionamento prima d’ora”, ha detto Grillo. A rincarare la dose, non potevano mancare i Dioscuri della politica. Ormai, l’uno stampella dell’altro. “Tutta colpa dell’opposizione”, hanno detto i due vicepremier, “usano il razzismo per attaccare il Governo”.

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Daisy Osakue, la giovane atleta di origine nigeriana ferita ad un occhio da un uovo lanciato da un’auto in corsa a Moncalieri, Torino, 30 luglio 2018.
ANSA/ ALESSANDRO DI MARCO

Ma nulla accade a caso. O all’improvviso. Chi nel passato ha seminato vento, oggi raccoglie tempesta. Da anni s’è alimentato nel Paese un clima di xenofobia e di razzismo. Troppo spesso sottovalutato. Se non giustificato. In assenza di indignazione e disgusto generale. Come quando il leghista Calderoli insultò il ministro dell’integrazione Cecile Kyenge, chiamandola “orango”. L’episodio fu derubricato come “eccesso verbale”. Vergognosamente. O quando definì gli immigrati “bingo bongo”. E la giornalista palestinese Rula Jebreal, “quella signora abbronzata”. Per non dire di quando, nel 2007, organizzò il “maiale day”, per impedire la costruzione di moschee in Italia. O di quando esibì in Tv una maglietta contro l’Islam. Scatenando una violenta reazione nel mondo arabo. Con l’assalto a sedi diplomatiche e chiese cristiane. E diverse vittime negli scontri.

Il campionario dell’indecenza è lungo da scorrere. A Milano, nei maggiori portali di compravendita immobiliare e offerte di lavoro, comparivano scritte tipo: “Affittasi appartamento: no animali, no stranieri”. Oppure: “Bar in centro cerca cameriere: astenersi extracomunitari”. Sempre nel capoluogo lombardo c’era chi voleva riservare ai milanesi alcuni posti nelle carrozze della metropolitana cittadina. Mentre a Treviso, per far esercitare i cacciatori, il “sindaco sceriffo” Giancarlo Gentilini diceva che “si potrebbe sparare agli immigrati come ai leprotti”. La storia non è maestra di vita. Solo qualche decennio prima, nel Nord Italia comparivano cartelli con scritte simili: “Non si affitta a meridionali”.  E nei locali pubblici: “Vietato l’ingresso a cani e meridionali”.

Al “salvinismo”  imperante e dilagante sembra non ci siano limiti. E, al momento, neppure  chi possa mettergli un freno. Non certo un’opposizione così masochista. In continuo litigio e frazionamento. Il Pd,  ancora oggi, come lo sciocco guarda il dito quando il saggio gli indica la luna. Nessuna seria riflessione sulle pesanti sconfitte. Dalla bocciatura “a tradimento” di Prodi come presidente della Repubblica, al referendum costituzionale, alla “Caporetto” del 4 marzo scorso. Nel frattempo, la Lega ha fagocitato la destra. E in Parlamento, pur con la metà dei seggi, ha asservito i 5 stelle ai propri voleri e diktat.

Abbastanza per non cominciare a scuotersi dal torpore. E a preoccuparsi. Davvero. Temendo per le sorti del Paese. Tra l’altro, l’Italia invecchia rapidamente. I giovani emigrano in massa. La ripresa rallenta. La stabilità politica si regge su un “contratto” contraddittorio. Durerà? Fino a quando? Alcuni uomini di cultura, tra questi Massimo Cacciari, hanno firmato un documento. L’“appello dei professori”, è stato definito. Denunciano la “spirale distruttiva” in cui si sta avvitando il Paese. Il rischio di un nuovo “pensiero unico”, all’insegna del rancore. E politiche “gravemente demagogiche”. Con linguaggi e valori lontani dalla cultura europea e occidentale.

Anche il mondo cattolico si interroga. La sua assenza, finora, è stata vistosa. Sebbene in possesso di un prezioso bagaglio di attività e iniziative. Oltre a una rete capillare in tutto il Paese. Fatica a riorganizzarsi. E a coordinarsi. A trovare punti di aggregazione. A innestare di idealità e valori una politica spenta. Esangue. Non più in grado di dare risposte alle questioni sociali. Alla globalizzazione. Al massiccio esodo delle popolazioni. Al disgregarsi dell’Europa. Ai populismi e ai nazionalismi. Alla pseudo democrazia della rete. Alla scomparsa dei “corpi intermedi”. Un danno, questo, ha scritto Romano Prodi, “che toglie alla società italiana il patrimonio del processo di partecipazione alla cosa pubblica e di formazione della classe dirigente, che è prezioso per la maturazione democratica del Paese”. Oggi, nessuno sa più “chi rappresenta chi”.

All’inizio di agosto,  ha fatto capolino una sorpresa. Un nuovo partito di cattolici:  “Democrazia solidale”.  Un tentativo per coagulare le forze sane del Paese. A partire dai movimenti e dalle associazioni. Non solo di cattolici. “La politica sui migranti ci sta convincendo a rompere gli indugi. Ma non solo”, ha detto Paolo Ciani, consigliere del Lazio, vicino alla Comunità di Sant’Egidio. “Insopportabile è il linguaggio totalitario e la disumanità, penso alla battuta sui crocieristi e alla polemica sullo smalto della donna naufragata”.

Forse, una risposta ai ripetuti appelli del cardinale Bassetti, presidente Cei, per il ritorno dei cattolici alla politica. E all’impegno per il bene comune del Paese. Ispirati dal Vangelo e dalla dottrina sociale della Chiesa. Oggi, più che in passato, c’è necessità di cristiani adulti e maturi nella fede. In vista di un contributo significativo alla costruzione della “città terrena”. Com’è avvenuto in passato. In altri cruciali momenti della storia del Paese. Stare alla finestra non è più possibile. Colpevole ignavia. Un peccato che non possiamo permetterci. Per lo meno, di questi tempi.

Antonio Sciortino già direttore di Famiglia Cristiana e attualmente direttore di Vita Pastorale

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