C’erano una volta la Svezia e il Parlamento europeo

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Mancano solo otto mesi alle elezioni del Parlamento europeo, fissato a fine maggio 2019. Uno in meno di un normale periodo di gravidanza, in questo caso politica, che si annuncia movimentata. Molti segnali sono già arrivati nei mesi scorsi, non solo dalle elezioni italiane del 4 marzo. Era già stato denso di segnali contrastanti il 2017 con le elezioni in Olanda e Francia, favorevoli al processo di integrazione europea, incerto per l’Ue l’esito del voto anticipato nel Regno Unito alle prese con le contraddizioni di Brexit, ostile quello dei Paesi di Visegrad, inquietante il risultato del voto in Austria e molto contrastato e deludente quello più atteso dall’Ue in Germania,  nell’ottobre scorso.

Duramente critico per l’Unione, adesso lo abbiamo capito meglio, il risultato elettorale italiano di marzo con la vittoria di due forze politiche a dominante populista, con la Lega in guerra permanente con Bruxelles e il Movimento cinque stelle, in grande difficoltà a smarcarsi dall’imbarazzante alleato e spesso tentato di sopravanzarlo negli attacchi all’Ue.

C’erano una volta la Svezia e il Parlamento europeo

Domenica scorsa è stato il turno della Svezia, un Paese cui guardavamo da tempo come un esempio di democrazia liberale e di modello sociale per il suo welfare e la sua capacità di accoglienza. Il voto svedese ha segnato un ulteriore passo avanti dell’ondata xenofoba e eurocritica, con il partito dei nazionalisti vicini al 18% ­- praticamente come la Lega in Italia, ma in Svezia tenuti in isolamento  dalle altre forze democratiche – senza tuttavia riuscire a superare i due partiti candidati a governare che hanno limitato i danni, attestandosi i Moderati al 20% e i Socialdemocratici al 28%, ma con il  peggiore risultato della loro centenaria storia.

A questo punto – e in attesa del voto in Baviera del 14 ottobre che si annuncia ad alto rischio – è già possibile tratteggiare una nuova mappa politica in Europa a forte impatto sulle elezioni del Parlamento europeo il prossimo 26 maggio. Le destre sono al governo in sette Paesi Ue, come in Italia, Polonia, Ungheria e Austria, e sono in crescita, più o meno forte, in altri otto: tra questi ultimi la Svezia, la Finlandia, la Francia e la Germania.

Se questi orientamenti dovessero trasferirsi anche nelle prossime elezioni del Parlamento europeo, allora la configurazione politica dell’Assemblea di Strasburgo potrebbe aprirsi a nuove coalizioni in corsa per formare una maggioranza e occupare la Presidenza del Parlamento e influire sulla Presidenza della Commissione e delle altre istituzioni Ue, tutte in scadenza nel secondo semestre 2019, e tra esse la Banca centrale europea.

Le ultime elezioni europee furono la prima occasione di innovare nella designazione del presidente della Commissione europea quando, non senza contrasti, prevalse nel Consiglio europeo il criterio di tenere conto dei risultati del voto e designare a quella responsabilità il capofila – allora Jean Claude Juncker – del Partito popolare europeo (Ppe) che aveva ottenuto maggiori consensi.

Più incerta si presenta la prospettiva del dopo voto a maggio prossimo e molto dipenderà non solo dal risultato del Ppe, ma anche dalle alleanze che prenderanno forma. E qui potrebbe essere decisivo lo schieramento euroscettico che, pure non diventando il primo partito, potrebbe o andare a rafforzare il Partito popolare europeo modificandone profondamente il profilo politico o impedire la formazione di altre maggioranze.

Quello che già è possibile pronosticare, salvo imprevisti, è che il futuro Parlamento non riprodurrà gli equilibri politici attuali e non è escluso che il fronte euroscettico, probabile minoranza consistente, possa ostacolare ulteriormente il difficoltoso processo decisionale attuale, già adesso fortemente segnato da una crescente deriva intergovernativa a dominante nazionalista.

Franco Chittolina

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